‘Il giovane favoloso’ di Martone con Elio Germano. ‘Maraviglioso Boccaccio’ dei fratelli Taviani. Francois Truffault e Blake Edwards tra le altre proposte
PESCARA – Giovedi 9 luglio, penultimo giorno del 42° Flaiano Film Festival che presenta al Multiplex Arca una serie di proposte imperdibili.
Si comincia in Sala 5 dove alle ore 18,00 verrà proposto “Short skin. I dolori del giovane Edo” di D. Chiarini: il diciassettenne pisano Edoardo ha un vero problema: un prepuzio troppo stretto che non permette al glande di uscire “come dovrebbe”, e per via di quella “pelle corta” non può avere una vita sessuale soddisfacente, nemmeno fra sé e sé. La famiglia di Edoardo trascorre l’estate sul lungomare toscano: la madre “tiene casa”, il padre sfarfalleggia, la sorellina Olivia cerca di far accoppiare il suo cane e Edoardo sospira davanti alla finestra della dirimpettaia Bianca, che fino a quel momento l’ha confinato al ruolo dell’amico. Riuscirà Edoardo a superare i suoi problemi sessuali, fisici ed emotivi? Short Skin, opera prima sviluppata da Biennale College, mostra già una buona padronanza del mezzo cinematografico e della costruzione della storia da parte di Duccio Chiarini, che racconta ciò che conosce e restituisce un’autenticità emotiva e di ambiente che si respira in ogni inquadratura. La storia di Edoardo è raccontata con garbo ed ironia, empatia e delicatezza. Si sorride, ma ci si immedesima anche nella paura e nell’imbarazzo esistenziale del ragazzo, perché la regia di Chiarini ci impedisce ogni distanza emotiva e ci fa provare epidermicamente quelle emozioni.
Alle ore 20,30 è la volta dei fratelli Taviani e del loro “Maraviglioso Boccaccio”: nel 1348, mentre la peste infuria a Firenze, dieci giovani si riuniscono in una casa di campagna e per dieci giorni si raccontano storie d’amore, di sesso, di burle clamorose, nell’intento di scacciare la paura della malattia e della morte. Paolo e Vittorio Taviani adattano il Decamerone di Boccaccio alle esigenze del Ventunesimo secolo, affrontando di petto il timore che attanaglia l’esistenza dei giovani (italiani) contemporanei. È un intento encomiabile e un impegno coraggioso che riesce solo in parte, malgrado la consumata abilità narrativa e poetica dei due registi-sceneggiatori. La parte vitale e assai godibile del film è quella che mette in scena le novelle boccaccesche, affidandone i ruoli principali ad alcuni volti noti del cinema giovane contemporaneo: un’idea giusta per attirare al cinema le nuove generazioni, ma più o meno azzeccata a seconda dell’abilità recitativa del singolo interprete.
Alle ore 22,45 “Le streghe son tornate” di Alex de la Iglesia: Josè non è mai stato un gran lavoratore e da quando la moglie lo ha lasciato può vedere solo ogni tanto il figlio piccolo, così decide di portarlo con sè in una rapina al termine della quale, dopo un lungo inseguimento in auto, i due assieme al complice, l’autista del taxi che hanno sequestrato e un ostaggio finiranno in un paese di streghe nel tentativo di espatriare in Francia. Le streghe in questione sono interessate al bambino piccolo, perfetto per un rituale che progettano da tempo e meditano di mangiare gli altri uomini in un grande banchetto, se non fosse che la più giovane di loro si è invaghita di Josè. Zugarramurdi è un luogo esistente, un paese della regione basca noto per uno dei più clamorosi casi di “stregoneria” registrati e aspramente repressi da parte dell’Inquisizione spagnola, in cui Alex de la Iglesia si diverte ad ambientare il suo film di streghe, deviando dalle regole del genere, come spesso accade al regista spagnolo, per divertirsi con una trama che finisce per assumere le consuete proporzioni apocalittiche.
In Sala 4 alle ore 18.00 omaggio a Truffaut con “I quattrocento colpi”: come una madre che osserva e veglia, nelle prime immagini del primo capolavoro di Truffaut, quello che lo ha fatto passare dai banchi di scuola dei “Cahiers du Cinema” alla cattedra della macchina da presa, la Tour Eiffel è sempre presente, e domina Parigi. I 400 colpi è anche il primo film del personaggio Antoine Doinel, alter ego del regista, sempre interpretato da Jean Pierre Leaud, che accompagnerà nella vita cinematografica il cineasta francese. Antoine Doinel è un bambino che vive con la giovane madre e il patrigno. Ha poca voglia di studiare e si diverte ad andare al cinema, a marinare la scuola, a compiere piccoli furti, oppresso da una famiglia che pensa troppo a se stessa e lo relega a buttare via la spazzatura o ad andare a comprare il latte, lasciando ai compagni di scuola il compito di accompagnarlo all’adolescenza. Il riformatorio diventerà il trampolino per il tuffo nel mare della vita. Manifesto della Nouvelle Vague francese, il primo film di Truffaut è un inno alla libertà dell’infanzia, in parte autobiografico, che disegna e descrive le vicende di un bambino, nel quartiere in cui il regista è nato.
Alle ore 20,00 si prosegue con Elio Germano, superbo protagonista nei panni di Giacomo Leopardi ne “Il giovane favoloso” di Mario Martone: Il giovane favoloso inizia con la visione di tre bambini che giocano dietro una siepe, nel giardino di una casa austera. Sono i fratelli Leopardi, e la siepe è una di quelle oltre le quali Giacomo cercherà di gettare lo sguardo, trattenuto nel suo anelito di vita e di poesia da un padre severo e convinto che il destino dei figli fosse quello di dedicarsi allo “studio matto e disperatissimo” nella biblioteca di famiglia, senza mai confrontarsi con il mondo esterno. Mario Martone comincia a raccontare il “suo” Leopardi proprio dalla giovinezza a Recanati, seguendo Giacomo nella ricerca costantemente osteggiata da Monaldo e da una madre bigotta e anaffettiva delineata in poche pennellate, lasciandoci intuire che sia stata altrettanto, e forse più, castrante del padre: sarà lei, più avanti, a prestare il volto a quella Natura ostile cui il poeta si rivolgerà per tutta la vita con profondo rancore e con la disperazione del figlio eternamente abbandonato.
Alle ore 22,50 in versione originale sottotitolata “The Act of Killing”: nel 1965, con un colpo di stato, l’esercito depone il governo indonesiano. In meno di un anno chiunque si opponga alla dittatura militare viene accusato di comunismo e trucidato con l’appoggio della Gioventù di Pancasila. Appartenenti ai sindacati e alla minoranza etnica cinese, contadini privati della propria terra e intellettuali sono giustiziati dai paramilitari e da piccoli fuorilegge dediti al bagarinaggio di biglietti del cinema presto elevati allo stato di killer spietati. Gli assassini di ieri oggi sono uomini benestanti che hanno accettato di ricreare le scene delle loro torture e esecuzioni, adattandole ai generi cinematografici preferiti: western, musical e gangster movie.
In Sala 3 alle ore 18,00 “Il padre” di Fatih Akin: fin dal nome, Nazaret tradisce la religione e il gruppo etnico di provenienza per i quali viene catturato, separato dalla sua famiglia, messo ai lavori forzati, poi condannato a morte e (scampato miracolosamente) vessato ogni qual volta incontri l’autorità. Nell’impero Ottomano degli anni della prima guerra mondiale, assieme a molti altri armeni, la sua famiglia è vittima di uno dei primi genocidi programmati a tavolino. L’aver scampato la morte costa a Nazaret le corde vocali ma senza curarsi del problema d’essere muto affronterà viaggi nel deserto, nelle città e infine attraverso l’oceano per ritrovare le figlie da cui è stato diviso.
Alle ore 20,45 omaggio a Blake Edwards con “Hollywood Party”: se amate la comicità dell’ispettore Clouseau, le atmosfere anni Sessanta e i drink, siete invitati a questo esilarante Party.
Peter Sellers, con il suo indimenticabile colorito indiano, veste qui i panni di Hrundi V. Bakshi, ingenua e sbadata comparsa indiana sul set di un film di Hollywood. Dopo avere inavvertitamente fatto esplodere il set prima del ciak del regista, il buffo ometto si ritrova per errore invitato in una lussuosa villa al party del produttore del film. Qui il sobrio ma imbranato indiano combinerà un guaio dopo l’altro, aiutato in questo crescente caos, da una galleria di personaggi “etilici”, su tutti il cameriere Levinson, che dopo essersi scolato tutti i drink rifiutati dall’integerrimo Bakshi, finisce per servire l’insalata con le mani e pomiciare placidamente con una bionda altrettanto ubriaca, mentre alle loro spalle la villa è un delirio di schiuma ed elefanti hippie. Senza dubbio il miglior prodotto della fertile e travagliata coppia Sellers-Edwards, Hollywood Party è una sorta di film-happening, improvvisato dagli interpreti a partire da un esile quadernino di sceneggiatura di dodici pagine. Ogni attore, Sellers in testa (memorabile il suo “birdy birdy gnam gnam”), costruì il suo personaggio giorno per giorno sul set, connotandolo con manie, tic e gesti buffi, semplici quanto geniali (si dice non si sia mai riso tanto sul set di un film…).
Infine alle ore 22,45 in versione originale sottotitolata “The Parade-La sfilata” di Srdjan Dragojevic: Limun è un ex eroe di guerra serbo, un insegnante di judo e un macho delinquente e omofobo alla vigilia delle seconde nozze con Biserka, ragazzona appariscente dalla mente aperta e dall’animo non violento. Una serie di circostanze, ma soprattutto l’aut aut della fidanzata, impongono a Limun di affidare l’organizzazione del matrimonio all’omosessuale Mirko e al suo partner Radmilo, un veterinario. In cambio del servizio, Limun e i suoi muscolosi sodali scorteranno la parata del gay pride, visto il rifiuto della polizia, per salvare i manifestanti da un pestaggio assicurato. Peccato che i sodali, più ottusi del capo, si neghino in massa, obbligando Limun e Radmilo ad andare in cerca di un trio di ex nemici di guerra, tanto violenti quanto affidabili.