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42° Flaiano Film Festival: Programmazione di martedì 30 giugno

da Redazione

42° Flaiano Film Festival 2015‘Interstellar’ di Nolan, ‘Anime nere’ di Munzi. Cinema ragazzi con ‘Mi chiamo Maya’

PESCARA – Martedì 30 giugno il Flaiano Film Festival propone al Multiplex Arca in Sala 5 alle ore 18,00 “Mi chiamo Maya” di Tommaso Agnese: la sedicenne Niki e la sorellina Alice di nove anni si ritrovano improvvisamente orfane di madre. Poiché sono figlie di padri diversi e solo quello di Alice è pronto a prendersi cura della propria prole (portandola con sé negli Stati Uniti), Niki ed Alice si sottraggono ai servizi sociali nel tentativo di rimanere unite. Inizia così il breve viaggio delle due sorelle attraverso una Roma ambigua ed equivoca in cui gli adulti sembrano scomparsi, fra festini altoborghesi e discoteche da adescamento, video chat erotiche e tatuatrici nichiliste.

Alle ore 20,30 si prosegue con “Samba” di E. Toledano e O. Nakache: Samba Cissé è senegalese e costretto da dieci anni in un centro di accoglienza alle porte di Parigi. In attesa di un permesso di soggiorno e incalzato dalla paura di essere espulso dalla Francia, Samba si rivolge a un’associazione che si occupa di questioni giuridiche legate all’immigrazione. L’associazione si prende a cuore il suo caso nella persona di Alice, una giovane donna borghese in congedo lavorativo. Affetta da sindrome da stress, Alice sembra trovare in Samba un rifugio e una ragione per uscire dall’impasse. Allo stesso modo Samba è convinto che Alice sia la chiave per regolarizzare la sua posizione sociale. Tra espedienti, mestieri, sotterfugi, baci rubati, fughe ai controlli e costante reinvenzione della sua identità, Samba troverà il suo posto nel mondo e nel cuore di Alice. Quattro anni dopo lo straordinario successo di Quasi amici Olivier Nakache e Éric Toledano realizzano Samba, una commedia sociale che racconta in fondo la stessa storia, quella di un borghese, offeso dall’handicap ieri e dalla depressione oggi, che ritrova senso ed entusiasmo a fianco di un indigente nero.

Alle ore 22,45 è la volta di “Anime nere” di Francesco Munzi: Leo, figlio irrequieto di Luciano, una notte spara alcuni colpi di fucile sulla saracinesca di un bar protetto da un clan locale, in quel di Africo nel cuore dell’Aspromonte. Una provocazione come risposta a un’altra provocazione. Un atto intimidatorio, ma anche un gesto oltraggioso che il ragazzo immagina come prova di coraggio e affermazione d’identità nei confronti del clan rivale e nei confronti del padre, maggiore di tre fratelli, dedito alla cura degli animali e dei morti, e lontano dalla cultura delle faide. I fratelli di Luciano hanno preso altre strade lontano da Africo, in una Milano permeata di affari criminali lungo la rotta della droga tra l’Olanda e la Calabria. Dopo la provocazione notturna, Leo deve e vuole cambiare aria, e raggiunge lo zio Luigi, il più giovane dei tre fratelli, spavaldo nel correre su e giù per l’Europa stingendo patti “commerciali” con cartelli sudamericani, e lo zio Rocco, ormai trapiantato a Milano con aria e moglie borghese, arricchito proprio dai proventi di quei traffici internazionali. L’eco della bravata di Leo giunge in quel di Milano e risveglia la mai sopita attrazione per la vendetta, la faida in un misto di orgoglio represso dal benessere o da esso alimentato sotto mentite spoglie. Il fratello maggiore infatti viene richiamato bonariamente dal boss del clan rivale e umiliato nel suo essere uomo, primogenito, padre di famiglia. I fratelli si mettono in viaggio verso il loro Sud, la loro terra, sentendo il richiamo di una cultura antica, richiamo fatale a un destino immutabile che punta dritto verso la tragedia, senza scampo.

In Sala 4 alle ore 18,00 si parte con “Io rom romantica” di Laura Halilovic (Ingresso libero): Gioia è una diciottenne rom che vive a Falchera, nella periferia torinese, da quando il comune ha assegnato alla sua famiglia un’abitazione stabile. Il padre vorrebbe che lei sposasse un ragazzo rom, ma Gioia ha altri progetti: principalmente, diventare libera di scegliere il proprio destino, fidanzato compreso. Quando viene casualmente in contatto con il mondo del cinema, la ragazza comincia a coltivare il sogno di diventare non già attrice ma regista, riscrivendo (letteralmente) la propria storia. Per prepararsi visiona film in dvd, fra cui il suo preferito è Manhattan. Il destino di Gioia vedrà intrecciarsi il cinema, Woody Allen, un ragazzo rom che piace ai genitori e un quarantenne italiano che la ragazza non potrebbe mai presentare a casa, un’amica gagè assai competitiva, un fratellino rissoso e una nonna che ha nostalgia dei campi perché nelle case comunque le “manca l’aria, il vento”. Io Rom romantica è la favola semiautobiografica narrata dalla neoregista rom Laura Halilovic, ispirandosi chiaramente al filone cinematografico di commedie romantiche interraziali altrettanto fiabesche che fanno leva sulla diversità di una comunità etnica folkloristica e “molto pittoresca”. Tuttavia il risultato è gradevole, grazie soprattutto alla presenza della giovane protagonista rom, Claudia Ruza Djordjevic, che tiene testa ai professionisti del cast (Marco Bocci, Lorenza Indovina) con grande naturalezza e carisma.

Alle ore 20,30, ad ingresso libero, replica di “Cloro” di Lamberto Sanfelice.

Alle ore 22,45 “Piccoli così” di Angelo Marotta: TIN, acronimo di Terapia Intensiva Neonatale, è il reparto ospedaliero in cui si curano i nati prematuri. Vale a dire – secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità – quelli venuti alla luce sotto la soglia della trentasettesima settimana di gravidanza. Partendo da un’esperienza personale – ovvero la nascita prematura della figlia Rita, nata a 23 settimane di gestazione e vissuta per 4 mesi in incubatrice – Angelo Marotta si addentra in questo limbo terapeutico sconosciuto ai più, in cui neonati che pesano 500 grammi vengono monitorati all’interno di avanzatissimi gusci caldi – quasi piccole navicelle spaziali dotate di oblò per permettere il contatto tattile – che sostituiscono per mesi il ventre materno.

In Sala 3 alle ore 18,00 cinema musicale con “Jason Becker: ancora vivo” di Jesse Vile: 1989. Jason Becker è una stella nascente che si sta affermando nel mondo della musica. Con la sua band heavy metal ha già girato il mondo ed ha successivamente inciso il suo primo album da solo tanto da suscitare l’interesse di David Lee Roth dei Van Halen. In seguito all’insorgenza di alcuni disturbi nella deambulazione i medici gli diagnosticano la SLA e prevedono che non arriverà al venticinquesimo anno di vita. Jason Becker è ancora vivo. Non è raro trovare sui vari media (Internet in pole position) articoli in cui ci si chiede che fine abbiano fatto i personaggi che un tempo furono famosi. Di solito tutto si riduce a qualche immagine in cui li si ritrova invecchiati, ingrassati, privi di appeal oppure botulinicamente evergreen. Jesse Vile si assume un compito decisamente più ampio ed interessante che va al di là del gossip un po’ sadico di cui sopra. Con la collaborazione delle persone più vicine a Jason e di quanti ne hanno apprezzato (e ne apprezzano) l’opera, realizza un documentario ricco di materiali di repertorio ma anche di testimonianze attuali.

Alle ore 20,30 infine, i Premi Oscar Matthew McConaughey ed Anne Hathaway sono i protagonisti di “Interstellar” di Christopher Nolan: una piaga sta uccidendo i raccolti della Terra, da diversi decenni l’umanità è in crisi da cibo e quasi tutti sono diventati agricoltori per supplire a queste esigenze. La scienza è ormai dimenticata e anche ai bambini viene insegnato che l’uomo non è mai andato sulla Luna, si trattava solo di propaganda. L’ex astronauta Cooper, mai andato nello spazio e costretto a diventare agricoltore, scopre grazie all’intuito della figlia che la NASA è ancora attiva in gran segreto, che il pianeta Terra non si salverà, che è comparso un warmhole vicino Saturno in grado di condurli in altre galassie e che qualcuno deve andare lì a cercare l’esito di tre diverse missioni partite anni fa. Forse una di quelle tre ha scoperto un pianeta buono per trasferire la razza umana e in quel caso è già pronto un piano di evacuazione. Andare e tornare è l’unica maniera che Cooper ha di dare un futuro ai propri figli. Questa volta c’è 2001: Odissea nello spazio nel mirino di Christopher Nolan. Interstellar non fa mistero di volersi misurare in quel campo da gioco e lo dice più volte con le immagini in quelle che sarebbe riduttivo chiamare citazioni ma sembrano più dichiarazioni d’intenti, come se il film di Kubrick fosse un genere a sè e Interstellar ne stesse solo rispettando le regole. La differenza tra i due sta però nel fatto che il regista è il massimo esempio di cineasta-ingegnere, un abile costruttore di ingranaggi dalla complessità impressionante che con invidiabile chiarezza corrono verso una risposta finale. Le domande poste dai suoi film non rimangono quasi mai appese e anche Interstellar, arrivato là dove Kubrick si fermava, avanza per fornire delle risposte che inevitabilmente risultano più povere di un indeterminato mistero.

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