L’AQUILA – Nella giornata di ieri é stata appena chiusa la Porta Santa della Basilica di Santa Maria di Collemaggio a cui è seguito il corteo di rientro della Bolla del Perdono di Papa Celestino V.
Alle 18, sempre nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, si è svolta la Santa Messa stazionale, presieduta dall’Arcivescovo Metropolita dell’Aquila, Monsignor Antonio D’Angelo. La liturgia è stata animata dal Coro Diocesano San Massimo con la direzione del maestro Emanuele Castellano. Al termine, lo stesso Arcivescovo e il sindaco del’Aquila e Presidente del Comitato Perdonanza, Pierluigi Biondi, hanno chiuso la Porta Santa.
Ultimato il rito, il primo cittadino ha proclamato la chiusura della Perdonanza 2024 e ha spento il braciere acceso lo scorso 23 agosto con il Fuoco del Morrone.
A seguire, è partito il corteo di rientro della Bolla del Perdono, con il gonfalone della città dell’Aquila, i rappresentanti della Municipalità e i gruppi storici che hanno accompagnato il sindaco, le Dame della Bolla e della Croce (Michela Carnicelli e Francesca Alfonsetti) e il Giovin Signore (Manuel De Libero) dalla Basilica di Collemaggio fino alla sede municipale di Palazzo Margherita a Piazza Palazzo.
A conclusione delle iniziative promosse dall’amministrazione comunale, venerdì 30 agosto, al Teatro del Perdono di Collemaggio, ci sarà il concerto dei Pooh.
Discorso di chiusura del Sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi
“La ragione sembra aver perduto la ragione. L’ottimismo razionalista per cui ogni problema si risolve senza Dio perde efficacia al cospetto delle guerre che rischiano di trasformare la terra in un grande teatro di morte.
La guerra è, innanzi tutto, un’idea, una paura, una possibilità, che quando si concretizza stravolge la vita e le persone regrediscono ai bisogni primari di sopravvivenza.
La finitudine è tornata così ad essere ben presente nella nostra quotidianità, facendo riaffiorare sentimenti di spiritualità grazie anche all’apostolato di Papa Francesco e alla riscoperta di testimoni del Vangelo come Celestino V.
L’orizzonte della finitudine è per l’uomo consapevolezza della sua fine, quindi della sua esistenza.
Ma come affrontarla? con un atteggiamento laico, con un approccio religioso o con la grazia della fede?
“E poi, più in alto e ancora più su, fino a sfiorare Dio, e gli domando io: Signore, perché mi trovo qui, se non conosco l’amore”.
Questa strofa di quel genio del nostro tempo che è Renato Zero – che abbiamo avuto il privilegio di riascoltare in occasione dell’aperture della 730° Perdonanza celestiniana – nella sua immediatezza e semplicità, ne è la risposta poetica e emozionale.
Rocca di Fumone, 19 maggio 1296, è sabato, l’ora del Vespro, mentre recita le ultime parole di un salmo, il vecchio eremita, il cercatore di Dio, il portatore di fede, pregando e lodando il Signore, muore.
La fede – e Celestino ce lo ricorda ogni anno in occasione della Perdonanza – è un fatto di grazia per un cristiano.
Lo storico Franco Cardini spiega che la fede non è religiosità – comune anche ad altri culti che osservano semplicemente delle leggi – ma è una caratteristica singolare del cristiano, frutto di una convinzione intima, basata su un rapporto superiore a ciò che è umano: l’incontro tra l’uomo e Dio nella forma dell’incarnazione del Cristo.
La finitudine, nel pensiero moderno, viene spesso considerata come un non valore, ammonisce Papa Francesco e ancora: per non essere sopraffatti dalla paura pensiamo alla morte illuminata dal mistero di Cristo, questo ci aiuta a guardare con occhi nuovi tutta la vita.
Con la Bolla, Celestino V ha voluto celebrare la vita, attraverso la misericordia, la riconciliazione e il perdono.
L’oltrepassare la Porta Santa di Collemaggio confessati e pentiti per poi ricevere il corpo di Cristo attraverso la comunione, è un rivolgere alla croce lo sguardo della fede che fa della vita il cammino responsabile.
È questa fede che ci ha fatto accogliere il dolore per le vittime del 6 aprile 2009 e la distruzione della nostra città per poi trasformarlo in rinascita.
In questi quindici anni abbiamo imparato a reagire e a costruire di nuovo; abbiamo messo in atto la caparbietà e la generosità della gente di montagna; siamo diventati un modello di ricostruzione; L’Aquila è diventata capitale del Perdono e della Pace; L’Aquila sarà la capitale italiana della cultura del 2026.
Possiamo dire che L’Aquila ha sconfitto la finitudine collettiva, ha riconquistato l’anima sepolta dalle macerie, ha affrontato e superato l’emergenza sanitaria e ora procede verso un nuovo capitolo di crescita e di progresso.
L’Aquila, in questi anni, ha fatto della bellezza il suo segno distintivo, attraverso azioni di valorizzazione e di riscrittura del progetto complessivo inserito ormai in uno scenario che guarda al duemila.
La bellezza di Celestino V, della Bolla, della Perdonanza, della basilica di Santa Maria di Collemaggio, dei fedeli, dell’Aquila, dei pellegrini di speranza, del Grande Giubileo di Roma, del perdono…la bellezza della pace!
Celestino V nel 1294 emanò la Bolla del Perdono e da 730 anni dall’Aquila si rammentano al mondo le parole simbolo della Perdonanza celestiniana: misericordia, riconciliazione, perdono, pace.
Per rendere omaggio al grande appuntamento del 2026, quando L’Aquila sarà capitale italiana della cultura, mi fa piacere condividere con voi il ricordo di quando Ignazio Silone scrisse per il Teatro Stabile dell’Aquila L’avventura di un povero cristiano, testo incentrato proprio sulla figura di Celestino V.
In particolare, vorrei lasciarvi con l’invettiva che Silone fa pronunciare a Celestino, non più papa, rivolta a Bonifacio VIII nel palazzo di Anagni: Dio ha creato le anime, non le istituzioni. Le anime sono immortali, non le istituzioni, non i regni, non gli eserciti, non le chiese, non le nazioni”.