L’AQUILA – Alla veneranda età di 98 anni è deceduto ieri sera a L’Aquila Adolfo Calvisi. Una vita spesa per intero nell’insegnamento, nell’impegno sociale, nell’attività politica e come amministratore pubblico, con la cifra d’un Maestro. Negli ultimi cinque anni, quando le condizioni fisiche non gli hanno più consentito di muoversi autonomamente, ha continuato a “studiare” e ad informarsi con l’uso del suo computer, circondato dall’affetto dei figli Mercedes e Vittorio, e dei tre nipoti. Era nato a Fossa (L’Aquila) il 15 dicembre 1917. Diploma magistrale e a 19 anni subito chiamato alle armi in Africa orientale, poi la seconda guerra mondiale e la prigionia sotto gli inglesi, in Sud Africa. Oltre dieci anni sotto le armi e nei campi di prigionia, prima di poter tornare a casa ed iniziare la “missione” educativa nella scuola, come insegnante elementare. Un Maestro non solo nell’insegnamento, ma nella formazione civica e nel carattere d’una numerosa schiera di ragazzi che lo ricordano ancora come un punto di riferimento. I primi anni di servizio nelle sperdute scuole della Valle Roveto, poi in quelle dell’aquilano, per diversi anni a Paganica.
L’insegnamento per Calvisi s’innervava già nel sociale, un Lorenzo Milani ante litteram. Specie nella Valle Rovetoviene ricordata l’assistenza prestata nelle rivendicazioni dei diritti alle famiglie dei suoi alunni. Con forti riferimenti alla dottrina sociale della Chiesa della Rerum Novarum, Calvisi sviluppò l’impegno nel sindacalismo cattolico, allora guidato da Giulio Pastore, organizzando e dirigendo il Sinascel, il sindacato della Cisl per gli insegnanti ed operatori della scuola elementare, del quale per molti anni fu responsabile provinciale ed esponente in Abruzzo. Collega di Achille Accili nell’insegnamento, ne condivise anche l’impegno politico nella Democrazia Cristiana, sempre con spiccata sensibilità nel campo sociale, collaborando nell’attività di partito, quando Accili fu Segretario provinciale Dc, e poi nell’attività parlamentare, quando per cinque legislature fu Senatore della Repubblica e Sottosegretario.
Rigoroso, determinato nelle scelte. Una grande saggezza e la profonda onestà intellettuale che mai ha piegato ai compromessi del potere, sono state la cifra di Adolfo Calvisi nell’impegno politico e di pubblico amministratore. Sindaco di Fossa, suo paese natale, poi amministratore dell’Ospedale San Salvatore e, dopo la riforma sanitaria, componente del Comitato di Gestione della ASL e presidente dell’Azienda Farmaceutica Municipalizzata. E ancora, consigliere e assessore al Comune dell’Aquila, con la sindacatura di Tullio de Rubeis (1980-85), commissario regionale IPAB. Questi gli impegni come amministratore che Adolfo Calvisi ha ricoperto nella sua lunga esperienza istituzionale, nel corso della quale si è distinto per la qualificata connotazione delle scelte, specie nell’organizzazione del lavoro e nel governo del personale. Chi scrive ha diretta esperienza delle sue doti, suo collega nell’amministrazione comunale guidata da Tullio de Rubeis. L’assessore Calvisi ebbe peraltro il merito di condurre in porto una complicatissima riorganizzazione del personale al Comune dell’Aquila e il difficile negoziato con le forze sociali, che portò ad un completo riordino dell’Ente- Una fatica di Sisifo che chiunque altro avrebbe annichilito..
In politica per Adolfo Calvisi il richiamo ai valori del cattolicesimo democratico è stato una costante, avvicinandola sua sensibilità alle classi più deboli della società, ai bisogni della gente più umile. La ragione del suo impegno politico traeva spunto dal pragmatismo rigoroso di Alcide De Gasperi, dalla concezione laica della presenza dei cattolici in politica, dai valori della Costituzione, dalle tesi sociali e filosofiche di Emmanuel Mounier e Jacques Maritain. Un pensiero politico in continuo interrogarsi sulla società italiana. Ancor più dopo la “rivoluzione giovannea” e il Concilio Vaticano II, con l’esigenza per i cattolici di aprire ponti di dialogo con le forze più vive della società. In politica, dunque, il graduale superamento dei blocchi contrapposti della democrazia italiana, della sua incompiutezza senza alternanza. Aldo Moro aveva individuato nella “terza via” il superamento della difficoltà italiana, prima che il terrorismo non vi ponesse fine, con il rapimento e l’assassinio del grande statista. All’Aquila questo spirito d’apertura sociale e politica, di dialogo tra partiti popolari e di massa, Dc e Pci, dopo i guasti dei moti di protesta per il capoluogo del 1971, aveva persino anticipato le scelte nazionali, facendo nascere nel 1975 la prima amministrazione di centrosinistra aperta alla collaborazione del Pci. In Luciano Fabiani, Achille Accili, Adolfo Calvisi ed altri esponenti della sinistra Dc aveva trovato i più attenti sostenitori.
Calvisi, per la verità, sulla questione del dialogo sociale e politico aveva sviluppato una vera stagione di riflessione, tenendo conferenze ovunque fosse chiamato, talvolta dai suoi ex alunni, o nei circoli delle ACLI, quando fu Presidente provinciale dell’associazione, allora guidata da Livio Labor. Una bella persona, esemplare, schietta e generosa, Adolfo Calvisi. All’apparenza egli ha sempre preferito l’essenza. A un passo dalla laurea in Pedagogia, all’università di Roma, aveva lasciato gli studi preso dagli impegni di amministratore pubblico, che sovrastavano ogni cosa. Qualche mese fa aveva preso parte all’insediamento del Consilium Aquilae Urbis, associazione di ex amministratori del Comune dell’Aquila, a dimostrazione dell’amore verso le Istituzioni. Un vero Maestro e un Testimone, con l’esempio, per tanti della mia generazione impegnati nel sociale e in politica. E ancor più in tempi in cui il pensiero è così liquido e incoerente. L’onorificenza di Commendatore al Merito della Repubblica, per quanto non se ne facesse vanto, è appena un piccolo tributo alla dedizione e al servizio che con passione Adolfo Calvisi ha reso all’Aquila e al’Abruzzo. E la Città gli deve un grazie rispettoso. Senza enfasi. Come nel suo carattere.
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La cerimonia funebre lunedì pomeriggio, alle 15:30, nella chiesa di Santa Rita, in via Strinella, L’Aquila.
(cronaca di Goffredo Palmerini)
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