Nel centenario della nascita dello scultore pescarese,giovedì 14 novembre prossimo,all’Aurum l’inaugurazione della prima antologica con catalogo presentato eccezionalmente da Gérarde-Georges Lemaire
PESCARA – Giovedì 14 novembre, alle ore 18.00 nelle sale Flaiano e Barbella dell’Aurum di Pescara, si terrà l’inaugurazione della prima antologica dello scultore Ferdinando Gammelli (1913-1983), presentata eccezionalmente dallo scrittore e critico francese Gérarde-Georges Lemaire.La mostra, accompagnata da un catalogo (DiPaoloEdizioni) con fotografie delle opere realizzate da Gino Di Paolo, foto storiche inedite e testi di Lemaire, Sibilla Panerai e Tiziano Antognozzi (a cui si deve tutta la ricerca archivistica), è al contempo un omaggio a Gammelli nel centenario della nascita, ma anche e soprattutto un punto fermo con cui la Città di Pescara , che patrocina l’iniziativa insieme alla Provincia di Pescara e alla Regione Abruzzo, col sostegno della Carichieti e della BCC di Cappelle sul Tavo, riscopre un interessante autore della scultura del Novecento: pescarese, formatosi tra Monza e Torino con maestri come Marino Marini e Giacomo Manzù, amico di Felice Casorati e compagno di studio di Umberto Mastroianni, tra i primi docenti al Liceo Artistico di Pescara e animatore della “Scuola di San Silvestro”.
Le opere esposte, la maggior parte delle quali inedite, testimoniano la crescita artistica e la carriera di Gammelli, dagli anni giovanili agli ultimi lavori realizzati in gesso e pronti per la fusione, frutto di numerose esperienze ed input esterni, tra correnti e stili di autori che rappresentano riferimenti importanti nell’opera gammelliana la quale, però, ha sempre conservato un proprio linguaggio originale che questo corpus di 55 sculture (tra bronzi, cere e gessi più un’appendice di 7 quadri provenienti da collezioni private e pubbliche), racconta in maniera puntuale ma non definitiva.
«È solo il primo passo – dichiara Duccio Gammelli, figlio di Ferdinando – per tornare a ragionare criticamente sull’opera e sull’impegno didattico di mio padre, a pieno titolo partecipe di un’importante stagione della Storia dell’Arte italiana del Novecento».
Un passo fondamentale che stupirà i visitatori della mostra – aperta tutti i giorni fino al 30 novembre 2013 (orario 9:00-13:00 e 15:00-19:30) – per “l’assoluta purezza del linguaggio plastico in cui si realizza la poesia di cui è ricco il mondo di Gammelli” come scriveva la stampa già nel 1941.
NOTA BIOGRAFICA E ARTISTICA
FERDINANDO GAMMELLI
(1913-1983)
I primi passi verso l’arte
Ferdinando Gammelli nasce a Pescara nel 1913 e, ragazzino, viene avviato alla carriera artistica grazie all’intuizione di Mastro Caporale, titolare di un’impresa di falegnameria nei pressi della macelleria della madre di Gammelli, che nel giovane aveva visto i segnali di un talento. Ferdinando viene iscritto alla Scuola d’Arte di Penne, sicuramente dal 1933, dove è allievo di Felice Brindisi, ottimo scultore e intagliatore, padre del più noto pittore Remo che in quei tempi divideva lo studio con Gammelli.
La formazione a Monza
Terminati gli studi Ferdinando abbandona la provincia per tentare l’ingresso all’Istituto superiore di industrie artistiche di Monza, una della scuole d’arte più innovative ed avanzate dell’Italia di quegli anni: gli anni in Lombardia (1935-1938 circa) gli permettono di seguire le lezioni di personalità di spicco come Raffaele De Grada, Pio Semeghini e soprattutto di Marino Marini (1901-1980) che di fatto rimarrà una delle influenze principali dell’artista pescarese e che permette a Gammelli di inserirsi nella poetica di recuperi del Novecento Italiano senza il rischio di enfasi retorica che contraddistingue molta scultura italiana degli anni ’30, lasciando dunque intatta la forte carica intuitiva delle sue suggestioni plastiche.
Torino e la carriera artistica
Successivamente Ferdinando Gammelli si trasferisce a Torino e sono anni (1938-1943) che rappresentano il suo più fertile e dinamico momento formativo, non solo per la qualità dell’insegnamento ma anche per la vivacità culturale ed espositiva della Torino di quegli anni. I contatti più importanti avverranno però al di fuori dell’Accademia Albertina: il rapporto meglio documentato e più importante è stato sicuramente quello con Umberto Mastroianni (1910-1998) conosciuto nel 1938 durante un’esibizione della Promotrice delle Belle Arti, introducendo a sua volta il giovane scultore a Luigi Spazzapan, Mattia Moreni e Piero Martina. Da quell’anno i due artisti divideranno lo studio, stringendo un sodalizio che durerà fino alla morte di Gammelli, cinque anni di intensa collaborazione che dimostrano come Gammelli si sia rivelato un prezioso compagno di viaggio e difficilmente un allievo per Mastroianni, come lui stesso ha sostenuto.
Continuando a scorrere i contatti stretti in Piemonte, fondamentali sono stati i rapporti con Felice Casorati e con almeno due dei “Sei di Torino”, Enrico Paulucci e Francesco Menzio conosciuti frequentando assiduamente lo studio del maestro del Realismo Magico.
Gammelli insomma era riuscito a raggiungere una fra le scene artistiche più importanti d’Italia in quegli anni e ad ottenere una stima che ancora anni dopo motivava una visita al suo studio di San Silvestro da parte sia di Casorati che di Mastroianni durante le loro visite in Abruzzo e che si erano concretizzati in una presenza sulla scena espositiva, già importante a partire dal 1940 e poi esplosa nel biennio successivo con una serie impressionante di riconoscimenti ed inviti sia nell’ambito della Promotrice che in quello dei Giovani Universitari Fascisti. Oltre all’inclusione nella Sala Piemonte durante la III Mostra Nazionale del Sindacato a Milano nel 1941, una delle sculture di Gammelli viene scelta direttamente da Vittorio Emanuele III e acquisita nelle collezione reali. Il periodo di successo verrà coronato da un articolo esclusivo dedicatogli dal quindicinale Lambello di Torino in cui viene celebrata “l’assoluta purezza del linguaggio plastico in cui si realizza la poesia di cui è ricco il mondo di Gammelli” e pubblicata un’immagine dell’opera acquistata dal Re, un ritratto in cera del pittore Mario Davico (1920-2010), all’epoca assistente della cattedra di pittura presso l’Albertina, ancora oggi conservata nella Galleria Sabauda.
Sono anni in cui si intensificano anche i contatti con Giacomo Manzù (1908-1991) che entra nell’Albertina per sostituire Marini, parallelamente a Casorati e Paulucci, creando dunque una situazione ideale per Gammelli, la cui ascesa si interrompe però fatalmente nel 1943, quando i raid Inglesi bombardano Torino fra il 12 e il 13 luglio e costringono lo scultore ad un sofferto ritorno in Abruzzo, per altro ampiamente osteggiato dallo stesso Casorati.
Il sofferto ritorno a Pescara
Tornato a Pescara, solo nell’estate del 1949 l’artista riprende ad esporre con un’intera sala personale allestita all’interno della Prima Mostra Abruzzese d’Arte, aggiudicandosi il Primo Premio di Scultura. Sarà solo l’inizio di un decennio di inviti per premi ed esposizioni collettive che lo porteranno ad un’intensa presenza sulla scena nazionale. Fra gli altri: Premio Frosinone (1948), Premio “Golfo della Spezia” (1950,1953), Premio Terni (1950,1951), Esposizione d’Arte Italiana Contemporanea di Ravenna (1951), Maggio di Bari (1951, 1953), Quadriennale di Torino (Premio Ernesto di Sambuy nel 1951; 1955), Premio Francavilla Fontana (1952, Primo Premio Scultura), Premio Michetti (1953, Tavolozza d’Argento nel 1954 e nel 1956, 1958), Esposizione Nazionale di Arti Figurative di Torino (1953) Premio Spoleto (1954, 1956, 1957), Premio Città di Carrara (1957), Premio Marche (1958).
Tra il Liceo Artistico e la Scuola di San Silvestro
Se il docente Ferdinando Gammelli insegna nel neonato Liceo artistico di Pescara, l’artista crea nella casa-studio di San Silvestro, località sui colli meridionali di Pescara in cui si trasferirà definitivamente nella seconda metà degli anni ’40. Ed è qui che lo scultore inizia ad invitare i primi allievi al di fuori degli orari scolastici per introdurli nella sua dimensione operativa più intima, lontana dalla didattica classica e indirizzata allo sviluppo di un vocabolario espressivo scaturito da una spontanea riflessione intuitiva sui mezzi del fare. La casa si fa progressivamente centro d’incontro e visitata da personalità di spicco della scena locale, primi fra tutti Tommaso e Pietro Cascella e Vicentino Michetti, ma anche da altri provenienti dalla scena artistica nazionale come i già citati Casorati, Mastroianni, Manzù, Remo Brindisi e ancora Paulucci, Beppe e Virgilio Guzzi. Un crocevia di maestri affermati, critici e giovani promesse che ha incontrato a San Silvestro un atmosfera di unica compenetrazione fra arte e natura, sottratta al tempo, alle logiche della civiltà e restituita all’autenticità dei rapporti umani, la vera base poetica dell’opera dell’artista: la cosiddetta “Scuola di San Silvestro”, termine utilizzato per la prima volta da Carlo Barbieri in occasione della mostra Regionale d’Abruzzo e Molise del 1956 a L’Aquila; a dieci anni dopo risale invece l’ultimo successo nazionale per Ferdinando Gammelli che nel 1966 si aggiudica una Medaglia d’Oro in
occasione del prestigioso Premio del Fiorino di Firenze (da quell’anno Internazionale): l’opera vincitrice è il “Pinocchio e la Balena” del 1964.
Tra la produzione di Gammelli, poi, meritano una citazione particolare i grossi gessi che in mostra vengono presentati pressoché per la prima volta e mai esibiti al di fuori dello studio di San Silvestro, opere come la “Leda e il Cigno” o “Abbraccio” che testimoniano un’attenzione al dinamismo fino a quel momento non mostrata in termini così espliciti, o perlomeno mai così lontani dalle temperature misurate del frammento di Realismo Magico che invece incontriamo ancora nei noti ritratti. Sappiamo con certezza che Gammelli aveva in mente una collocazione urbana e monumentale per queste opere, da sempre un’occasione mancata per lo scultore che si ripresenta nell’occasione di “Abbraccio”, commissionata da Gilberto Ferri e la cui fusione (mai avvenuta) era inizialmente destinata al Porto Turistico di Pescara.
Dalle piccole alle grandi opere dunque il linguaggio di Gammelli, scomparso nel 1983, ha rappresentato formalmente un’operazione unica di dialogo fra alcune delle tendenze più avanzate e determinanti nella storia artistica italiana della prima metà del XX secolo; una riflessione che risulta ancora più poderosa nei suoi risultati quando pensiamo alla coerenza con cui l’artista le ha permesso di rendersi mezzo incredibilmente coerente con le sue esigenze espressive, radicate a fondo in una turbolenta percezione espressiva e nell’interminabile stratificazione emotiva delle sue opere, mai orfane di una felicità artistica che crede alla creazione non come atto demiurgico ma come universale mezzo di interazione umana.
Dal testo critico di Gérarde-Georges Lemaire:
“Il percorso di Ferdinando Gammelli è fortemente radicato nella tradizione della modernità. Egli non propugna un ritorno all’ordine apertamente reazionario, alla maniera di Arno Brecker o Paul Belmondo, e neppure è animato da una volontà di mescolare l’antico e il moderno paragonabile a quella di Aristide Maillol, come possiamo vedere nelle opere esposte nei giardini delle Tuileries a Parigi. Gammelli ha scelto di seguire la tradizione delle avanguardie del ventesimo secolo, senza fermarsi a un riferimento preciso o scegliersi un modello formale definito. La sua arte è un esempio di libertà autentica. Che abbia optato per la figurazione non significa volontà ostinata di aggrapparsi a un passato ormai concluso. Egli vuole attingere dalla figurazione altre modalità, una forma d’espressione inedita in cui affermare con forza la propria personalità pur richiamandosi in maniera del tutto trasparente a precedenti illustri. Riesce così a creare opere originali, nel momento stesso di rendere omaggio ad altri artisti. Lungi dall’esercitarsi in una serie di citazioni, egli ipotizza un punto di partenza che gli consenta di trovare il suo proprio linguaggio”.