TORINO – “Nella partita della messa in sicurezza e dello smaltimento dei rifiuti radioattivi in Italia, è necessario e urgente realizzare un deposito unico nazionale di un certo tipo, che accolga solo scorie di bassa e media radioattività e non quelle ad alta radioattività. Quest’ultime non possono essere gestite in Italia, nemmeno temporaneamente, ma come prevede la direttiva europea possono essere, invece, accolte in un deposito internazionale a livello europeo”. È l’appello che Legambiente ha lanciato da Torino, in occasione del convegno all’assemblea annuale dell’Anci dal titolo “Verso il deposito nazionale: sicurezza e benefici per il territorio nella gestione dei rifiuti radioattivi” al quale l’associazione ambientalista ha partecipato. Dalla città del Lingotto Legambiente torna a ribadire anche l’importanza di avviare al più presto un percorso partecipato, trasparente e di condivisione territoriale per arrivare alla scelta di un sito dove realizzare il deposito in questione.
“Sul percorso avviato fino ad oggi e che dovrà portare all’individuazione del sito – spiega Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – siamo molto preoccupati perché c’è poca trasparenza, ci sono forti ritardi, non c’è certezza sui tempi e mancano controllo e garanzia. Lo scorso gennaio la Sogin ha consegnato all’Ispra la Carta delle Aree Potenzialmente Idonee, la Cnapi. L’Ispra, dopo un’attenta analisi, ha inviato la sua valutazione ai ministeri competenti. Questi ultimi, dopo aver chiesto ulteriori approfondimenti tecnici a Ispra e Sogin sulla Cnapi, a fine agosto avrebbero dovuto comunicare la lista dei siti idonei a ospitare il deposito sui rifiuti nucleari pubblicando la Carta. Ma dai dicasteri non è arrivata mai nessuna risposta in merito, non c’è stato nessun dialogo con i territori ed, inoltre, e ad oggi non è ancora operativo l’Isin, l’ente di controllo che dovrebbe seguire con la Sogin la questione del deposito. Siamo, dunque, convinti che i troppi ritardi e la poca trasparenza che hanno caratterizzato fino ad ora questo lungo e complesso percorso, rischiano di far partire il tutto con il piede sbagliato. Per questo torniamo a ribadire l’urgenza di avviare un percorso trasparente, partecipato e condiviso che coinvolga i territori e le amministrazioni locali, ma che sia anche condotto e controllato da personalità di provata esperienza e competenza”.
Dopo la chiusura delle centrali nucleari, in Italia sono rimasti 90.000 mila metri cubi di scorie radioattive, di cui il 60% derivanti dallo smantellamento delle centrali nucleari e il restante 40% dalle attività medico industriali, che continueranno a produrre rifiuti radioattivi anche in futuro. Sul totale sono, poi, 15mila metri cubi di scorie ad alta radioattività che, secondo Legambiente, devono essere smaltite all’estero.
L’associazione ambientalista ricorda che ad oggi i rifiuti a bassa e media radioattività sono raccolti, seppur in maniera temporanea, in depositi spesso non idonei e a rischio come accade ad esempio a Saluggia, in provincia di Vercelli, in Piemonte, dove nel centro Eurex sono custoditi l’85% dei rifiuti nucleari italiani. L’impianto si trova sulle sponde della Dora Baltea, vicino alla confluenza di questa con il Po, in una zona ad elevato rischio alluvionale, oltre tutto sopra le falde acquifere piemontesi. Sempre a Saluggia si stanno costruendo due nuovi grandi depositi “definiti temporanei”.
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