Ambiente

Abruzzo, Bracco ribadisce il no al progetto estrattivo in Val di Sangro

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Il consigliere regionale ,ricordando  che la giustizia amministrativa lo ritiene  di estrema pericolosità,afferma:”Si rischia il punto di non ritorno”

L’AQUILA  – “Prendo atto della risposta dell’Arap (ossia della Regione Abruzzo) e non posso che constatare come la Regione stessa, da un lato, abbia chiaramente deciso di regalare ai cittadini della Val di Sangro un’imponente raffineria e che, dall’altro, si voglia promuovere l’attività di estrazione del gas dal lago di Bomba.

Non lo dico io ma lo scrive nero su bianco, attraverso Arap, la Regione Abruzzo medesima parlando di “urgenza di garantire il proseguimento del procedimento autorizzativo in corso presso i competenti Ministeri””.

E’ questo il commento del Consigliere Leandro Bracco dopo che l’Azienda regionale delle attività produttive ha diramato una nota con la quale ha replicato alle affermazioni dell’esponente di Sinistra Italiana secondo il quale una delibera vergata dai vertici Arap darebbe sostanzialmente il via al progetto petrolifero in Val di Sangro.

“La Regione Abruzzo – prosegue Bracco – è impegnata a salvaguardare il progetto estrattivo di Bomba tanto che è così preoccupata di garantire la conclusione dell’iter di approvazione da adottare un atto d’urgenza in piena estate, visto che la delibera firmata da Giampiero Leombroni e Antonio Sutti porta la data di mercoledì 9 agosto”.

“E ciò non è tutto – sottolinea il Consigliere – La stessa Regione è infatti così attenta alla pratica che si preoccupa addirittura di ‘correggere’ l’iter arrivando a suggerire alla società CMI Energia di indicare un nuovo lotto. L’area precedentemente destinata alla costruzione della raffineria presentava infatti, come sottolineato dalle osservazioni di Comuni e associazioni, alcune incompatibilità insanabili”.

“Tutto questo è gravissimo – afferma Bracco – in quanto evidente è il tentativo di trovare false giustificazioni per coprire atti presumibilmente illegittimi.

Quello che la Regione Abruzzo vuole è palese e cioè voltare le spalle a coloro i quali, da sempre, si battono per difendere il proprio territorio dal progetto scellerato di estrazione del gas sotto il lago di Bomba e raffinarlo nel Comune di Paglieta. Un progetto già fermato dalla giustizia amministrativa in quanto ritenuto di estrema pericolosità”.

“E’ oltretutto meschino – rimarca Bracco – nascondersi dichiarando l’incompetenza della Regione. Anche nei procedimenti dinanzi al Comitato VIA nazionale le stesse Regioni possono infatti avviare molte iniziative.

Invece no.

Non solo la Regione Abruzzo alza le mani parlando di incompetenza trattandosi di VIA nazionale e di procedure di esproprio (procedure che non sono state avviate e che comunque sarebbero da verificare), ma passa sostanzialmente dall’altra parte suggerendo iniziative nell’interesse non dei propri cittadini ma di privati”.

“Questa politica che da un lato fa finta di combattere la devastazione dell’ambiente a braccetto con la collettività ma dall’altro non solo permetterebbe ma addirittura aiuterebbe il saccheggio del proprio territorio, deve essere fermata e inchiodata alle proprie responsabilità”.

“L’Agip – spiega Bracco – titolare del giacimento di gas naturale di Bomba a partire dal 1969, nel 1992 chiese al ministero dell’Industria il rinvio dei lavori di sviluppo e coltivazione degli idrocarburi. Il motivo? Superficie instabile, presenza di amplissime aree franose e rischio concreto di subsidenza ossia di cedimento del terreno. In sostanza dunque l’Agip stessa si tirò indietro e rinunciò a sogni di gloria.

Ricordo che il lago di Bomba è lungo sette chilometri, ha una larghezza media di 1,5 km, una profondità di poco inferiore ai 60 metri e soprattutto una capienza massima di quattro milioni di metri cubi di acqua.

La diga di Bomba è in terra battuta. In quell’area nessun progetto di estrazione del gas deve essere attuato.

Se ciò invece avvenisse, anche se la diga di Bomba non è sovrastata da alcuna montagna, il rischio di un Vajont seppur depotenziato potrebbe concretizzarsi in quanto, come detto, il rischio di subsidenza è notevolissimo”.

“Il 9 ottobre 1963 una frana di 260 milioni di metri cubi di roccia si staccò dal Monte Toc finendo nella diga del Vajont provocando un’onda gigantesca che si diresse verso valle causando la morte di circa 2mila innocenti. Se proprio a causa della subsidenza la diga di Bomba dovesse cedere, i centri abitati a essere investiti dall’enorme massa d’acqua sarebbero Altino, Archi, Perano, Atessa, Paglieta, Roccascalegna e Sant’Eusanio del Sangro. Sono certo – conclude Leandro Bracco – che se nel breve-medio periodo le carte bollate dovessero far sì che il progetto estrattivo in Val di Sangro vada avanti, allora l’intera collettività abruzzese scenderà in piazza contro l’ennesimo tentativo di stupro del territorio”.

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