Dopo il distacco di una slavina , verificatosi a Campo Felice, interviene Carlo Frutti Presidente della Associazione difesa del suolo sulla indispensbilità di una carta regionale del rischio valanghe.
Il distacco di una valanga a Campo Felice, sabato scorso, e la sua caduta sulla pista della Vergine, molto frequentata, nonostante abbia interessato un notevole spessore di neve, per fortuna non ha procurato danni alle persone.Il distacco della slavina del tipo a lastroni, sarebbe stato provocato da fuori pista di alcuni snobortisti e purtroppo non è l’unico episodio di questo inverno sulle montagne abruzzesi. Infatti il 31 Gennaio altre valanghe hanno causato due morti e due feriti. Oltre a rinnovare l’invito alla prudenza agli appassionati della montagna, è necessario potenziare la conoscenza del territorio montano e dei rischi legati alle precipitazioni nevose.
A tale propsito registriamo l’intervento di Carlo Frutti presidente della Associazione difesa del suolo:
Le consistenti precipitazioni nevoso di questo lungo inverno e gli episodi valanghivi di questi giorni riportano l’attenzione su un fenomeno spesso trascurato sull’Appennino, ma che in una regione montuosa come l’Abruzzo deve essere tenuto in debito conto e non solo per gli aspetti legati alla pratica dello sci, ma in gran larga parte del territorio, in specie per i versanti più acclivi al di sopra dei 1000-1200 mslm.
Proprio con riferimento a Campo Felice, teatro dell’ultimo fenomeno, va segnalato come la strada che collega l’uscita autostradale di Tornimparte alla Piana ed agli impianti di sci sia ad alto rischio valanghe e che le strutture (paravalanghe) di prevenzione sono anacronistiche, non sono affatto adeguate e sufficienti.
L’Associazione Nazionale Difesa del Suolo, che annovera tra i propri Soci tecnici qualificati ed esperti di settore ha più volte evidenziato l’esigenza di una Carta Regionale del Rischio Valanghe uno strumento, indispensabile in area montana, di pianificazione territoriale per gli insediamenti antropici, per le infrastrutture, ma anche per la migliore gestione delle aree protette, delle aree turistiche, sia per la pratica sportiva che per l’escursionismo invernali.
Vanno rilevate ed individuate puntualmente tutte le aree sottoposte a rischio valanghe con criteri omogenei che consentano una corretta individuazione del rischio. Occorre innanzitutto prevedere un Catasto delle Valanghe con la trascrizione su cartografia in scala degli eventi storici segnalati e osservati sia dal Corpo Forestale che dalle popolazioni. Utile in tal senso le ricerche storiche e le testimonianze reperibili presso i centri montani.
I dati sugli eventi registrati nel passato vanno integrati con una analisi territoriale che individui i versanti a rischio in prossimità di centri abitati, infrastrutture produttive e di comunicazione, di impianti ricettivi e turistico sportivi.
Il tutto va raccolto e sintetizzato in una carta tematica, la Carta Regionale del Rischio Valanghe, appunto, che segnali le zone per livello di rischio e pericolosità, costituendo un utile strumento per la programmazione degli interventi di messa in sicurezza, la pianificazione e lo sviluppo.
Diversamente c’è il rischio, come accade per molti fenomeni di dissesto idrogeologico, che le opere siano realizzate solo dopo l’evento catastrofico, senza una concreta azione di previsione, prevenzione con riduzione programmata dei rischi.
Lo strumento cartografico costituirebbe un utile supporto per valutare i rischi attuali e provvedere ad un piano di messa insicurezza dell’esistente anche attivando fondi comunitari per la sicurezza delle aree montane e dei centri minori.
Non si può costruire, tracciare una strada, svolgere un’attività turistica sotto un versante a rischio valanga; e sono molti i siti in Abruzzo nei quali insediamenti e strutture viarie sono stati realizzati nel tempo senza tenere conto del pericolo ogni inverno immanente e della memoria “storia” delle valanghe degli ultimi due scoli.
L’esperienza degli avi ha fatto si che i centri montani siano arroccati in posizione sicura, ma non altrettanto si può dire per le aree di espansione, produttive, le nuove strade, non escluse quelle che collegano i centri turistici invernali e gli impianti di sci.
Se la conosci la eviti; vale anche per la valanga, ma purtroppo non sono mai stati messi in campo studi ed indagini adeguate per la completa conoscenza del territorio montano e dei rischi connaturati alle precipitazioni nevose.
Per non parlare gli interventi di protezione. Nel passato le opere di forestazione hanno garantito un minimo di protezione ai centri abitati; oggi non si interviene sulla montagna se non sporadicamente, e con modalità diversificate e non sempre adeguate.
Il più efficace, sicuro e duraturo sistema di protezione è costituito oggi dalle reti fermaneve in acciaio, ma spesso, un malinteso protezionismo e vincoli assurdi hanno comportato l’uso di “rastrelliere” in legno, inadeguate e marcescibili, o cannoni a gas che necessitano dell’intervento attivo dell’uomo.
Non ultimo, debbono crescere le competenze professionali, di tecnici ed imprese, e la stessa Università dovrebbe favorire lo studio dei fenomeni valanghivi e dei rischi in area montana affinché anche in Abruzzo crescano professionisti qualificati e specializzati sulle emergenze in area montana senza dover ricorrere, come spesso accade, alle esperienze maturate in ambito alpino, non riproponibili alle nostre latitudini.
La messa in sicurezza della montagna costituisce un importante volano per lo sviluppo del territorio socio economico, in particolare dei centri montani e dell’economia legata alla pratiche sportive ed al godimento della natura, che favorisca un turismo sempre più esigente che con la qualità dell’ambiente chiede infrastrutture adeguate e protette dai rischi naturali.