ABRUZZO – Si inaugura ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN l’esperimento coordinato dall’italiana Elena Aprile, della Columbia University di New York. L’obiettivo è decifrare uno dei misteri della fisica contemporanea: di che cosa è fatta la materia che compone un quarto dell’universo
Oggi ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) viene aperta una nuova finestra sul cosmo, per dare la caccia alla sfuggente materia oscura: Xenon1T. Alla cerimonia inaugurale, che si svolge nella Fermi Lecture Hall dei LNGS, prendono parte Elena Aprile, della Columbia University di New York, a capo della collaborazione internazionale Xenon1T, Fernando Ferroni, presidente dell’INFN e Stefano Ragazzi, direttore dei LNGS, oltre ai ricercatori italiani coinvolti in Xenon1T e ai massimi rappresentanti dei maggiori enti di ricerca mondiali che partecipano all’esperimento. Xenon1T è, infatti, una collaborazione internazionale di 21 gruppi di ricerca, provenienti da Italia, USA, Germania, Svizzera, Portogallo, Francia, Paesi Bassi, Israele, Svezia e Abu Dhabi. Il gruppo italiano che partecipa all’esperimento Xenon1T è costituito, insieme ai Laboratori del Gran Sasso, dalle sezioni INFN e dalle Università di Bologna e Torino.
“I Laboratori sotterranei del Gran Sasso, che garantiscono uno schermo molto efficace di roccia, di spessore di circa 1400 metri, si arricchiscono oggi di un nuovo sofisticatissimo strumento per la rivelazione della sfuggente materia oscura”, commenta Stefano Ragazzi, direttore dei LNGS. “Grazie a questo rivelatore, che permetterà l’esplorazione di regioni al momento inaccessibili, i nostri Laboratori si confermano un luogo privilegiato per questo tipo di ricerche e una delle infrastrutture di ricerca più preziose e d’avanguardia a livello mondiale”, conclude Ragazzi.
È uno degli ingredienti base del cosmo: è, infatti, cinque volte più abbondante della materia ordinaria che compone tutto ciò che conosciamo. I fisici sanno che esiste, che non assorbe, né emette luce. Ma non sanno ancora quale sia la sua natura.
“Noi prevediamo che circa 100.000 particelle di materia oscura attraversino ogni secondo una superficie pari a quella di un’unghia”, afferma Gabriella Sartorelli, coordinatrice del gruppo di ricercatori italiani. “Il fatto che non le abbiamo già osservate ci dice, tuttavia, che la loro probabilità di interagire con gli atomi dei nostri rivelatori è molto piccola, e che abbiamo, pertanto, bisogno di strumenti più grandi e più sensibili per trovare le rare firme di queste particelle”, conclude Sartorelli.
L’esperimento
Per catturare le particelle di materia oscura, i fisici di Xenon1T hanno bisogno di condizioni particolari. A partire dal luogo in cui ospitare l’esperimento: le viscere del Gran Sasso, che schermano dai raggi cosmici, preservando così quello che i fisici chiamano “silenzio cosmico”. Ma la schermatura della sola montagna non è sufficiente. Anche l’esperimento dev’essere realizzato in modo idoneo a rivelare i rarissimi eventi di interazione della materia oscura con quella ordinaria. I fisici di Xenon1T hanno scelto di utilizzare un gas nobile ultrapuro, lo xenon per l’appunto, raffreddato a una temperatura molto bassa, -95 0C, per mantenerlo allo stato liquido. Il rivelatore (la Camera a Proiezione di Tempo, TPC), cuore dell’esperimento, è in grado di dare un segnale quando le particelle interagiscono al suo interno. Il rivelatore è immerso in un criostato, un thermos, in acciaio inossidabile a bassa radioattività, contenente circa 3500 kg di xenon liquido. Ma non solo: per garantire una schermatura dalla radioattività ambientale, e dai muoni cosmici che possono produrre un ulteriore fondo all’interno del rivelatore, il thermos è a sua volta immerso in 700 m3 d’acqua ultrapura, all’interno di un contenitore alto circa 10 m, come un palazzo di tre piani, attrezzato con 84 fotomoltiplicatori che servono per rivelare il passaggio dei muoni cosmici.
La tecnica
Secondo i modelli teorici più accreditati, il vento di particelle prodotto dal movimento della Terra nell’alone di materia oscura che avvolge la Via Lattea può occasionalmente colpire i nuclei atomici di un materiale rivelatore, depositando una piccola quantità di energia, che solo uno strumento di grande sensibilità consente di osservare. In Xenon1T le rare interazioni con le particelle di materia oscura producono nello xenon liquido due segnali: un lampo di luce primario e un segnale di carica che genera un secondo segnale di luce ritardato. I segnali luminosi sono catturati da 248 fotomoltiplicatori, sofisticati occhi capaci di rivelare ogni singolo fotone. Dall’analisi dei segnali i fisici di Xenon1T possono poi misurare l’energia e la posizione dell’interazione, e la natura della particella.
“L’inizio della presa dati di Xenon1T è previsto per la fine dell’anno, – spiega Walter Fulgione, dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso – e ci sono tutte le premesse non solo per verificare altri modelli di materia oscura, oltre a quello che prevede che sia costituita da WIMP (Weakly Interacting Massive Particle), ma soprattutto per riuscire finalmente a rivelarla. La raccolta dei dati durerà due anni – prosegue Fulgione -, ma i fisici di XENON1T stanno già guardando oltre. “L’esperimento – aggiunge Sartorelli – è concepito per ospitare 7,6 tonnellate di xenon, più del doppio della capacità di Xenon1T, perché nel prossimo futuro vogliamo essere preparati ad aumentare la sua sensibilità con un rivelatore di massa più grande”, conclude Sartorelli.
Il ruolo dell’Italia
Il gruppo italiano costituito dalle sezioni INFN e dalle Università di Bologna e Torino insieme ai Laboratori del Gran Sasso partecipa al progetto Xenon da diversi anni e, oltre a contribuire alla presa e all’analisi dei dati, e alle simulazioni Montecarlo di Xenon100, ha preso parte in modo considerevole alla progettazione e realizzazione di Xenon1T, con responsabilità specifiche nella progettazione e realizzazione di tutte le infrastrutture dell’esperimento, del sistema di schermo di acqua, e dei fotorivelatori, oltre che nella simulazione Montecarlo dell’apparato e delle particelle in grado di attraversarlo. Simulazioni che rappresentano uno strumento potente e fondamentale perché consentono di studiare, e quindi eliminare, il rumore di fondo che inquina i segnali potenzialmente interessanti per i ricercatori.
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