Il 25° Scrittura e Immagine Film Festival entra nel vivo
PESCARA – Ormani entrato nel vivo, il 25° Scrittura e Immagine Film Festival al Mediamuseum di Pescara si apre domani, 18 novembre alle ore 17,30 con “Marguerite” di Xavier Giannoli: Marguerite, baronessa francese e melomane, ha sposato per amore Georges Dumont, aristocratico che ha venduto il titolo e scordato la nobiltà. Diviso tra motori e amanti, Georges sopporta Marguerite e si nega al suo amore. Un amore cieco e ostinato che sublima nel canto e davanti a un pubblico di aristocratici ipocriti, che raccolgono fondi per gli orfani di guerra e ridono della sua ‘discordanza’. Perché Marguerite non ha voce, non ha attitudine, non ha umiltà, non ha limiti, soltanto illusioni alimentate dal fedele maggiordomo, dall’entourage domestico e da un marito troppo vigliacco per disilluderla e tanto crudele da illuderla. Al riparo dalla Parigi degli anni Venti, che ribolle di eccitazione e cultura, Marguerite consuma le sue giornate in un ‘castello’ bucolico, sorda alla verità. A espugnare il suo ritiro ‘artistico’ penseranno Lucien Beaumont, giornalista e scrittore promettente e Kyrill von Priest, poeta dadaista e anarchico. Nella baronessa ‘stonata’ i due giovani individuano una voce di ‘rottura’ da traslocare nei café parigini per demolire il sistema dell’arte e per sovvertire le aspettative del pubblico borghese. Fuori dalle sue stanze traboccanti di costumi, spartiti e desideri infranti, Marguerite trova sfrontatezza e coraggio. Salirà in palcoscenico e canterà questa volta per un pubblico vero. Un salto senza rete che si schianterà contro un acuto.
Ha il nome dell’eroina di Alexandre Dumas, la baronessa francese di Xavier Giannoli, incarnazione di una passione senza ‘voce’. Della ‘signora delle camelie’, Marguerite condivide il destino tragico, quello grottesco lo ricava invece da Florence Foster Jenkins, ‘soprano’ americano senza colori che nell’America degli anni Trenta mise a dura prova il suo pubblico. Impossibile applicare con le chanteuses la ‘sospensione dell’incredulità’ perché l’incongruenza della loro voce, la loro totale mancanza di intonazione rendono la fruizione di un’aria o di un lied insostenibile e insieme esilarante. Traslocata nella Parigi cosmopolita, mondana e liberale degli anni Venti, Marguerite non potrà mai compensare la mancanza di capacità o attitudini di base, eppure questo non sembra fermarla. La percezione della propria efficacia, sostenuta e accresciuta da consorti e amici, fa di Marguerite una creatura insieme tragica e patetica. Con Marguerite e dopo Superstar, Xavier Giannoli torna a parlare di ‘falso successo’ senza dare risposte ma sollevando al contrario questioni. La menzogna (la nostra e quella degli altri) ci uccide? Ci tiene in vita? Ci rende folli?…
Alle ore 19,45 si prosegue con “Fuochi d’artificio in pieno giorno” di Yinan Diao: nell’estate del 1999 un detective della polizia indaga su uno strano caso di omicidio: brandelli della vittima vengono ritrovati contemporaneamente in diverse cave di carbone. Nel corso delle indagini però un confronto a fuoco uccide i suoi colleghi e lo lascia ferito e traumatizzato. Cinque anni dopo, in inverno, la situazione è molto peggiore per lui e per il mondo in cui vive. Lo ritroviamo ubriaco al margine della strada, non è più poliziotto, ma lavora come guardia privata e lo sconosciuto che si ferma per vedere se è ancora vivo in realtà lo fa per rubargli la moto.
Il ripresentarsi di omicidi simili a quelli del 1999 lo spinge tuttavia a ricominciare le indagini in privato, coadiuvando vecchi amici rimasti in polizia. Scopre così che tutto porta a una lavanderia in cui lavora una gentile ragazza di cui prontamente si innamora e che cerca di usare per arrivare al killer. Sembra incredibilmente appropriato lo strano titolo di questo film una volta che lo si è finito. Svolto tra un passato in cui il crimine passa per il carbone e un presente in cui torna a colpire attraverso il ghiaccio, è anche la suggestione della materia dura e sporca contrapposta a quella sottile e pulita (in una frase il senso del cinema noir), due estremi che rappresentano il lavoro pesante contro la danza leggera e ben si prestano a una lettura allegorica di tutto quel che succede in questo detective movie ai confini del mondo, in cui non c’è niente di normale. Benché infatti sia ambientato in un luogo imprecisato del nord della Cina, il film è volutamente inserito in una realtà al limite del paradossale, dove l’insensata presenza di un caos ingiusto è il vero nemico dei personaggi.
Infine alle ore 21,45 viene proiettato “The Imposter” di Bart Layton in versione originale sottotitolata: tre anni e mezzo dopo la scomparsa del tredicenne americano Nicholas Barclay, un turista chiama la polizia per denunciare il ritrovamento, a Linares (Spagna), di un ragazzino in stato confusionale. Dopo essere stato accolto in una casa famiglia e aver raccontato del rapimento e dei successivi abusi subiti da una setta di schiavisti del sesso, il giovane dichiara di essere Nicholas. Sebbene sia molto cambiato nell’aspetto così come nell’accento, la famiglia ne accoglie di buon grado il ritorno imputando i mutamenti ai traumi vissuti. Presto, tuttavia, le indagini di Charlie Parker, un investigatore privato, sveleranno un’altra faccia della vicenda. Difficile pensare a un lavoro i cui confini siano più brillantemente confusi di quanto non accada nel folgorante esordio nel lungometraggio di Bart Layton, imperniato sulle circostanze che hanno portato all’arresto di Frédéric Bourdin, detto “il camaleonte”, tra i più noti ladri di identità seriali del mondo. Pur raccontando i fatti, L’impostore – The Imposter devia dalla concezione stessa di documentario in virtù di una forma filmica, di affascinante presa narrativa, in cui il noir si interfaccia con la realtà e il dramma con la fantasia. Mediante i mezzi propri del cinema di finzione, lo spettatore viene assorbito in un racconto che, come il suo protagonista, cambia d’aspetto lentamente, assumendo coloriture sempre differenti fino ad arrivare a una supposta svolta, agghiacciante e sospesa. Tra le dichiarazioni, squisitamente soggettive, degli intervistati, le ricostruzioni che visualizzano i loro pensieri e i filmati autentici, a venir fuori è il labirinto di una storia impossibile da conoscere nella sua interezza, accesa di toni sempre più inquietanti dall’ottimo montaggio di Andrew Hulme.