Lo studioso pratolano ripercorre la vita letteraria della compianta Anna Ventura, professoressa e poetessa aquilana scomparsa pochi giorni fa
L’AQUILA – È difficile tratteggiare un profilo di Anna Ventura (la scrittrice aquilana scomparsa il 13 gennaio scorso ad ottantaquattro anni), poiché ella stessa ha dedicato gran parte del suo lavoro a comporre una galleria di profili critici (a cominciare dagli abruzzesi: Ciampoli, Flaiano, Giannangeli, Rosato, Civitareale, Manna, Di Giorgio, Esposito, Sablone, etc.), in un carnet di saggi, articoli e recensioni. Prolifica è stata la sua collaborazione con le più importanti riviste abruzzesi, come “Oggi e domani” (Pescara), “Itinerari” (Lanciano), “Abruzzo Letterario” (Avezzano), “Tracce” (Pescara), “Misura” (L’Aquila) e “Rivista Abruzzese” (Lanciano), ma anche con apprezzate riviste “fuori regione”, come “Il Ragguaglio Librario” (Milano), “La Nuova Tribuna Letteraria” (Albano Terme, PD) e “La Vallisa” (Bari). Nei volumi Il mestiere appassionato (Pescara, Tracce, 1993) e La musa errante. Percorsi critici di un ventennio e oltre (Foggia, Bastogi, 2001) possiamo leggere, sapientemente raccolte e distribuite, le testimonianze di un’attività d’interprete letteraria, quella di Anna Ventura, in cui è difficile trovare scissa l’analisi testuale dal contesto umano dell’autore e l’approccio analitico della studiosa dal gusto personale della lettrice.
Questo rifiuto di qualsiasi “astrattismo” critico l’ha portata a farsi testimone di una storia umana prima che di una storia letteraria. Non a caso scriveva: «Scrittura come testimonianza: della propria realtà e di quella degli altri, della realtà del proprio tempo. Per me scrivere non è inventare, anche se alcune mie pagine possono sembrare frutto di fantasia: è sempre la realtà la mia vera ispiratrice. Per questo, forse, amo raccontare storie e fissare parole in poesie e in aforismi, fare diari in cui si ferma la vita che mi scorre accanto e mi coinvolge nel suo flusso (A. Ventura, Introduzione a La musa errante. Percorsi critici di un ventennio e oltre, Bastogi, 2001, p. 7).
Nella sua prima lettera al poeta e critico peligno Ottaviano Giannangeli, Anna Ventura precisava la sua “abruzzesità”: «Lei mi chiede se sono abruzzese; certo, mi rendo conto che la breve nota apposta ai miei lavori è, sotto questo profilo, fuorviante: i miei genitori erano entrambi abruzzesi, mia madre di L’Aquila e mio padre di Tocco Casauria […]; anche se sono nata a Roma, in realtà vivo a L’Aquila quasi da sempre, fatta eccezione per un breve soggiorno a Firenze, per gli studi universitari. Come vede, sono abruzzese, magari “abruzzese del mare”, per usare un’espressione di Ciarletta, giacché vivo meglio d’estate, quando mi riesce finalmente di raggiungere Montesilvano o Tocco Casauria. Per tutto l’inverno sto qui, a L’Aquila, con mio marito, Fausto Ianni, che Lei forse conosce, e i miei ragazzi, ormai ginnasiali» (L’Aquila, 1° marzo 1979). Tra i due si sarebbe instaurato un rapporto di viva amicizia, caratterizzato da una fitta corrispondenza e da un mutuo scambio di pubblicazioni, d’intenti, di riflessioni. Sulla rivista “Punto d’incontro” (Lanciano, a. VI, n. 19-20, dicembre 1983-marzo 1984), Anna Ventura raccontò la sua prima visita all’abitazione giannangeliana di Raiano: «Forse tutte le visite, o almeno quelle più significative, si dovrebbero fare d’inverno.
Era inverno, e precisamente nel periodo tra Natale e l’Epifania, quando andammo a trovare Ottaviano Giannangeli, a Raiano. […] Ottaviano si affacciò ad una delle finestre del primo piano del palazzetto; si videro i baffi e gli occhiali luccicanti. In un attimo fu al piano terra, davanti al portone. Eravamo con amici comuni, e questo semplificava le cose, cioè l’imbarazzo del primo incontro. Ma Ottaviano Giannangeli non è tipo da avere e procurare imbarazzi; la sua cordialità è contagiosa; forse è una discrezione dissimulata da cordialità. Potrei descrivere, a questo punto, con probabile scivolata nell’oleografia, la casa patriarcale, il grande camino di pietra con l’arrosto allo spiedo, le bottiglie di vino di famiglia: Oro peligno, sibi et suis. Preferirei accennare al piano di sopra, dove sono raccolti molti libri, e molti dei quadri che Ottaviano dipinge nelle pause che gli concedono la cura della proprietà e l’attività letteraria. […] Dovremo incontrarci altre volte, e in altre occasioni, perché io riesca a superare la strana sensazione di avere vissuto un’esperienza irreale, un brano di letteratura, un racconto d’inverno» (A. Ventura, Una visita a Ottaviano Giannangeli, in La musa errante, cit., p. 216)
Nel volume Omaggio a Giannangeli / nel settantesimo anno / Studi e antologia dell’opera, curato da Lucilla Sergiacomo per il Centro Nazionale di Studi Dannunziani e della Cultura in Abruzzo (Pescara, Ediars-Oggi e Domani, 1993), comparve, tra gli altri, un intervento della Ventura sul romanzo Sposare una (intervento che avrebbe dovuto fungere da introduzione ad una nuova edizione del romanzo, programmata ma poi disdetta dall’editore Marino Solfanelli), a cui l’autore era particolarmente legato. Il testo, pubblicato dapprima sul “Tempo” (22 aprile 1987), fu salutato con entusiasmo da Giannangeli: «Carissima Anna, ti ringrazio moltissimo per l’articolo oggi ricevuto, che sta benissimo come introduzione […] alla ristampa solfanelliana del romanzo. […] Hai colto perfettamente l’animus del romanzo o “antiromanzo” come si diceva quando lo scrissi». (Pescara, 21 marzo 1987). Una volta ricevuto il volume per i settant’anni dell’amico, Anna Ventura espresse così la sua soddisfazione: «… credo che sia il giusto omaggio al tuo lungo, appassionato lavoro. Mi consola vedere che l’Abruzzo incomincia a riconoscere i suoi figli senza aspettare che non ci siano più: un segno di maturità, che va riconosciuto al nostro secolo non brillantissimo. Troppo presto, tuttavia, credo, per accettare e riconoscere perfino il lavoro di una donna: per questo, ergo, la mia passione letteraria ha ancora strada da percorrere. Spero di essere una viandante tenace» (L’Aquila, 6 maggio 1994).
Il 19 aprile 2002, in occasione della tanto attesa ristampa di Sposare una, curata dall’Associazione culturale “Amici del Libro Abruzzese” di Montesilvano (grazie all’interessamento del suo presidente, il Dott. Carlo Di Giacomo), Anna Ventura e Giannangeli si ritrovarono nella Sala dei Marmi della Provincia di Pescara, in una presentazione che vedeva tra i relatori Lucilla Sergiacomo ed Umberto Russo.
Oggi Anna Ventura non c’è più e, senza tema di una «probabile svicolata nell’oleografia», si può dire che né il nuovo secolo, cominciato con auspici meno brillanti del precedente, né l’Abruzzo hanno tributato al suo lavoro di “donna di lettere” quanto meritato, nonostante la chiara stima di amici, scrittori, colleghi ed allievi. Vorrei citare, dalla sua raccolta poetica Le spighe incrociate (Roma, Edizioni dell’Urbe, 1987), dei versi che, dopo la sua scomparsa, paiono quanto mai significativi: «Tritare, giorno dopo giorno / la buccia secca del passato, / farne una poltiglia, un pepe, una cenere / da spargere ai quattro venti. / […] / Ma un giorno ti rientrerà in casa / col vento di Novembre, / ti starà intorno come un’ape leggera / questa magia che si chiama ricordo / e resiste a tutti gli amuleti». Possiamo dire che, da «viandante tenace» qual è stata, Anna Ventura ha ancora una strada da percorrere, destinata a risolversi solo con la riscoperta della sua opera, in un’impassibilità di tempo che è prerogativa della poesia.
Andrea Giampietro