PESCARA – «Un raro filmato a colori, girato il 25 novembre 1956, ci riporta alla mente una tragedia che aveva solo le tinte più scure: il buio delle viscere della terra, il nero del carbone sui volti dei minatori, il lutto delle mogli e delle madri. L’8 agosto di quello stesso anno, nel pozzo del Bois du Cazier a Marcinelle, in Belgio, si consumava una delle più immani tragedie del lavoro, con la morte di 262 minatori, di cui molti abruzzesi. Una copertina anch’essa a colori della Domenica del Corriere, diventata un’icona, cerca di descrivere il disastro, l’orrore e la disperazione di quanti attendono oltre il cancello della miniera la buona notizia di un salvataggio che non ci sarà. Non ci fu alcun miracolo, a Marcinelle.
Le quaranta bare allineate sui camion scoperti di fronte alla Cattedrale di San Cetteo a Pescara, per i funerali di Stato celebrati a fine novembre da monsignor Antonio Iannucci, portavano l’eco non sopita del dolore della comunità abruzzese e di quelle di Manoppello e Lettomanoppello che avevano subìto la ferita più profonda. L’inviato del Corriere della Sera all’epoca descrisse Manoppello come «il paese delle vedove» e non era un’esagerazione giornalistica. Dal paese della pietra della Majella e dell’arte degli scalpellini erano partiti in tanti per strappare il pane dal cuore delle miniere di carbone in Belgio: un’emigrazione per necessità che rispondeva alle esigenze delle famiglie e di quelle dello Stato italiano che con il Regno del Belgio aveva stipulato un accordo costruito sul sudore e sulla fatica dei minatori. Sarebbe stato controfirmato col sangue delle vittime di un incidente che rivelò al mondo la mancanza di misure di sicurezza e l’inadeguatezza della prevenzione. Nulla sarebbe stato uguale, dopo Marcinelle. Il disprezzo col quale i nostri emigranti erano accolti all’estero chiederà il tributo di quelle vite per diventare rispetto e considerazione verso chi voleva un futuro migliore per sé e per i propri figli.
Oggi, 8 agosto, 64 anni dopo la tragedia al Bois du Cazier, abbiamo ancora molto da imparare da quella storia. Perché è la nostra storia». Si legge nella nota del sindaco di Pescara, Carlo Masci.