Le quaranta bare allineate sui camion scoperti di fronte alla Cattedrale di San Cetteo a Pescara, per i funerali di Stato celebrati a fine novembre da monsignor Antonio Iannucci, portavano l’eco non sopita del dolore della comunità abruzzese e di quelle di Manoppello e Lettomanoppello che avevano subìto la ferita più profonda. L’inviato del Corriere della Sera all’epoca descrisse Manoppello come «il paese delle vedove» e non era un’esagerazione giornalistica. Dal paese della pietra della Majella e dell’arte degli scalpellini erano partiti in tanti per strappare il pane dal cuore delle miniere di carbone in Belgio: un’emigrazione per necessità che rispondeva alle esigenze delle famiglie e di quelle dello Stato italiano che con il Regno del Belgio aveva stipulato un accordo costruito sul sudore e sulla fatica dei minatori. Sarebbe stato controfirmato col sangue delle vittime di un incidente che rivelò al mondo la mancanza di misure di sicurezza e l’inadeguatezza della prevenzione. Nulla sarebbe stato uguale, dopo Marcinelle. Il disprezzo col quale i nostri emigranti erano accolti all’estero chiederà il tributo di quelle vite per diventare rispetto e considerazione verso chi voleva un futuro migliore per sé e per i propri figli.
Oggi, 8 agosto, 64 anni dopo la tragedia al Bois du Cazier, abbiamo ancora molto da imparare da quella storia. Perché è la nostra storia». Si legge nella nota del sindaco di Pescara, Carlo Masci.
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