PESCARA – Mercoledì 15 ottobre 2014, dalle ore 10.00 alle ore 11.00, presso la Sala Stampa di Montecitorio, WWF Italia, Legambiente e Greenpeace Italia presenteranno le iniziative per contrastare il rilancio indiscriminato delle attività di ricerca e produzione degli idrocarburi nei mari Adriatico, Ionio, Alto Tirreno e nel Canale di Sicilia e impedire l’ulteriore colonizzazione petrolifera della Basilicata.Le associazioni hanno infatti intrapreso un’azione comune sul decreto legge “Sblocca Italia” (dl 133/2014) e la loro conferenza stampa sarà focalizzata sui contenuti dell’art. 38 di tale decreto. In programma c’è una mobilitazione nazionale, per sensibilizzare l’opinione pubblica e invertire la tendenza di una scelta a favore delle energie fossili , con le giornate presidio a Roma del 15 e 16 ottobre “Blocca lo Sblocca Italia”.Saranno in piazza associazioni, comitati e cittadini davanti al Parlamento per manifestare contro lo sfruttamento selvaggio di terra e mare .
L’appello dei promotori dell’iniziativa:
Un attacco all’ambiente senza precedenti e definitivo: è il cosiddetto Decreto “Sblocca Italia” varato dal Governo Renzi il 13 settembre scorso. Un provvedimento che condanna il Belpaese all’arretratezza di un’economia basata sul consumo intensivo di risorse non rinnovabili e concentrata in poche mani. È un vero e proprio assalto finale delle trivelle al mare che fa vivere milioni di persone con il turismo; alle colline dove l’agricoltura di qualità produce vino e olio venduti in tutto il mondo; addirittura alle montagne e ai paesaggi sopravvissuti a decenni di uso dissennato del territorio. Basti pensare che il Governo Renzi rilancia le attività petrolifere addirittura nel Golfo di Napoli e in quello di Salerno tra Ischia, Capri, Sorrento, Amalfi e la costiera Cilentana, dell’omonimo Parco Nazionale”.Si arriva al paradosso che le produzioni agricole di qualità, il nostro paesaggio e i tanti impianti e lavorazioni che non provocano inquinamento, compresi quelli per la produzione energetica da fonti rinnovabili quando realizzati in maniera responsabile e senza ulteriore consumo di territorio, non sono attività strategiche a norma di legge. Lo sono, invece, i pozzi e l’economia del petrolio che, oltre a costituire fonti di profitto per poche multinazionali, sono causa dei cambiamenti climatici e di un pesante inquinamento.Mentre il mondo intero sta cercando di affrancarsi da produzioni inquinanti, il Governo Renzi per i prossimi decenni intende avviare la nostra terra su un binario morto dell’economia. Eppure l’industria petrolifera non ha portato alcun vantaggio ai cittadini ma ha costituito solo un aggravamento delle condizioni sociali ed ambientali rispetto ad altre iniziative legate ad un’economia diffusa e meno invasiva.
Nel Decreto la gestione dei rifiuti è affidata alle ciminiere degli inceneritori, mentre l’Italia dovrebbe puntare sulla necessaria riduzione dei rifiuti e all’economia del riciclo e del riutilizzo delle risorse. Tanti comuni italiani hanno raggiunto percentuali del 70-80% di raccolta differenziata coinvolgendo intere comunità di cittadini. Bruciare i rifiuti significa non solo immettere nell’ambiente pericolosissimi inquinanti producendo ceneri dannose alla salute e all’ambiente ma trasforma in un grande affare, concentrato in poche mani, quello che potrebbe essere una risorsa economica per molti.Le grandi opere con il loro insano e corrotto “ciclo del cemento” continuano ad essere il mantra per questo tipo di “sviluppo” mentre interi territori aspettano da anni il risanamento ambientale. Chi ha inquinato deve pagare. Servono però bonifiche reali, non affidate agli stessi inquinatori e realizzate con metodi ancora più inquinanti; l’esatto opposto delle recenti norme con cui si cerca di mettere la polvere tossica sotto al tappeto. Addirittura il “sistema Mose” diventa la regola, con commissari e “general contractor” che gestiranno grandi aree urbane in tutto il Paese, partendo da Bagnoli.Questo Decreto anticipa nei fatti le peggiori previsioni della modifica della Costituzione accentrando il potere in poche mani ed escludendo le comunità locali da qualsiasi forma di partecipazione alla gestione del loro territorio.Il provvedimento si configura come un primo passaggio propedeutico alla piena realizzazione del piano complessivo di privatizzazione e finanziarizzazione dell’acqua e dei beni comuni che il Governo sembra voler definire compiutamente con la legge di stabilità.Riteniamo che il Parlamento debba far decadere le norme di questo Decreto chiarendo che le vere risorse strategiche del nostro paese sono il nostro sistema agro-ambientale con forme di economia diffusa, dal turismo consapevole all’agricoltura, dalle rinnovabili diffuse alle filiere del riciclo e del riutilizzo.
I membri delle Commissioni parlamentari competenti di Camera e Senato (Ambiente e Attività Produttive) sono stati chiamati al confronto e alla riflessione sulle forzature normative e costituzionali contenute nell’art. 38 del d.l. 133/2014 da Alessandro Giannì, responsabile Campagne di Greenpeace Italia, Stefano Lenzi, responsabile dell’Ufficio relazioni istituzionali del WWF Italia, e Giorgio Zampetti, responsabile del Comitato Scientifico di Legambiente nazionale. All’incontro interverrà anche il costituzionalista Enzo Di Salvatore, esponente del movimento “No Triv”.