ARIELLI (CH) – Finalmente, dopo mesi di ricerche, siamo in grado di certificare che le vere origini abruzzesi di Fidel LaBarba uno dei più grandi pugili di ogni tempo.
Il padre Domenico La Barba era nato a Crecchio (CH) nel 1864 e la madre Palmina Cianci era nata ad Arielli (CH) il 27 agosto del 1873. I due si sposarono ad Arielli il 29 ottobre del 1888. Le umili condizioni economiche della famiglia spinsero la giovane coppia ad emigrare. Nel 1894 giunsero ad “Ellis Island” viaggiando, in terza classe, sulla “Wieland”. I due si stabilirono a New York nel quartier del “Bronx”. Negli Stati Uniti nacquero Louis, Francis Theodore, Anthony, Joseph, Fedele, Maria e Antonia. Nel 1914, a soli 41 anni, morì mamma Palmina.
Il povero Domenico (morì nel 1928) provò, in ogni modo, a tenere unita la famiglia ma poi fu costretto a mettere i ragazzi più piccoli in vari istituti. Tra questi anche Fedele (diverrà molto presto “Fidel”) che però dopo solo un anno scappò per tornare a casa. Al padre disse voglio lavorare ed aiutarti. Fece lo “strillone”, il “lustrascarpe” e infine il ragazzo di fatica in una sala da bowling. Giovanissimo, grazie al fratello Francis Theodore (usava lo pseudonimo “Ted Franchie”), si avvicinò alla boxe. Conobbe il maestro di pugilato George Blake che ne intuì immediatamente le capacità: “se segui i miei insegnamenti diverrai un campione”.
George Blake, sarà poi manager di Fidel, fu buon profeta. Da dilettante la carriera di Fidel LaBarba fu accompagnata da una sola parola “vittoria”. Lui piccolo ed agile divenne un “peso mosca” di assoluto rilievo. Poi nel 1924 arrivarono le olimpiadi di Parigi e la convocazione nella squadra di pugilato degli Stati Uniti. Nel primo incontro sconfisse l’ingleser E. Warwick, poi toccò all’italiano Gaetano Lanzi arrendersi dinanzi ai pugni di Fidel e a seguire, stessa sorte toccò al canadese Rennis. In semifinale Fidel incontrò l’italiano Rinaldo Castellenghi. Fu un incontro durissimo ma leale e, anche in questo caso, Fidel ebbe la meglio.
A fine mach il futuro campione olimpico dei pesi mosca si avvicinò all’italiano in lacrime e, battendogli una mano sulla spalla, gli disse, in dialetto abruzzese:
“Sei stato bravo e io pure sono italiano”. In finale, 24 luglio del 1924, Fidel LaBarba distrusse il britannico James McKanzie e conquistò l’oro olimpico. Durante la premiazione nel palazzetto una piccola banda locale intonò l’inno italiano. Alla fine dello stesso anno passò professionista. Un giornale così lo definì: “Pugile di una tecnica unica, ottimo in fase difensiva, velocissimo nel gioco di gambe, dotato di duro “jab sinistro” a cui segue, sempre con lo stesso braccio e un devastante gancio”.
Al suo ritorno negli Stati Uniti gli fu tributata una trionfale accoglienza. I giornali iniziano a glorificare le sue gesta sportive e in poco tempo divenne l’idolo degli italo-americani che in lui vedevano un simbolo di riscatto. Il 22 agosto del 1925 gli fu offerta l’opportunità di combattere, contro Frankie Genaro, per la corona mondiale dei “mosca”.
Fu un trionfo. A vedere la sua prima, vincente, difesa del titolo contro lo scozzese Elky Clark al Madison Square Garden si presentaro in 16.000. Nel 1927, ebbe costanti problemi per rientrare nel peso dei “mosca”, sembrò essere sul punto di lasciare la boxe tanto che si iscrisse all’Università di Stanford (dove conseguì successivamente la laurea in lettere). Poi decise di tornare sul ring anche se nella categoria dei “piuma”. Otterrà altri 40 successi e la sua popolarità fu sempre crescente. Fece innumerevoli campagne pubblicitarie presenziò ad una infinità di iniziative benefiche. Molto spesso fu affiancato simpaticamente, lui piccolissimo, al gigante di Sequals Primo Carnera.
Una sua “figurina” entrò in una preziosa collezione. Rimane indimenticabile quanto sconfisse “Kid Chocolate” fino ad allora, dopo 170 combattimenti, praticamente imbattuto. Combattè ancora per il mondiale ma fu sconfitto, con assai discussi verdetti finali, da Battalino e dallo stesso “Kid Chocolate”. A fine carriera intraprese, con successo, la strada del giornalismo sportivo e rimase nel mondo della boxe come “consulente”.
A cura di Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”
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