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Catturata la prima luce visibile emergente da un lampo gamma lungo

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Ricercatori del Gran Sasso Science Institute (GSSI) e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) tra gli autori principali di uno studio

illustration by Lisa Chmyreva – credits “©Lisa Chmyreva”

L’AQUILA – Nella notte tra il 19 e il 20 giugno del 2021 tre telescopi robotizzati hanno catturato un lampo di luce visibile appena 28 secondi dopo l’avvistamento di una potente esplosione di raggi gamma. Entrambi gli eventi sono riconducibili all’esplosione di una stella lontana 10 miliardi di anni luce dalla Terra, ma l’osservazione contestuale sia dei raggi gamma che di luce visibile emessi nella morte di una stella è un’occasione molto rara e potrebbe aiutare gli scienziati nella comprensione di questi fenomeni.

I ricercatori del Gran Sasso Science Institute, insieme a colleghi dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF), dell’Accademia Ceca delle Scienze e dello Special Astrophysical Observatory dell’Accademia Russa delle Scienze, hanno condotto lo studio sul lampo di luce captato dai telescopi, suggerendo che potrebbe essere stato originato dal getto di materia magnetizzata ed estremamente veloce che si muove in un mezzo a bassa densità, intorno alla stella esplosa.

Sebbene l’esplosione sia avvenuta a 10 miliardi di anni luce dalla Terra, l’emissione di luce visibile è stata così intensa da potere essere osservata da chiunque fosse dotato di un binocolo: naturalmente avrebbe dovuto sapere dove guardare con grande precisione. Lo sapevano bene i tre telescopi robotizzati coinvolti nello studio: il D50, che si trova a Ondrejov, nella Repubblica Ceca; il FRAM-ORM di La Palma, in Spagna; il Mini-MegaTORTORA nel Caucaso del Nord, in Russia. Una volta che i satelliti Fermi Gamma-ray Space Telescope e Neil Gehrels Swift Observatory hanno captato il gamma ray burst GRB 210619B e lanciato un’allerta, i computer hanno automaticamente orientato i tre telescopi verso la direzione del cielo in cui era avvenuta l’esplosione stellare, permettendo, in meno di trenta secondi, di osservare anche la prima luce nel visibile.

I gamma ray burst sono lampi di raggi gamma della durata di pochi secondi. Queste brevi esplosioni hanno origine da almeno due distinti tipi di processi astrofisici violenti: la morte di stelle massicce chiamate collapsar, o la fusione di due oggetti molto compatti delle dimensioni di una città, ma più massicci del Sole, noti come stelle di neutroni. Il lampo di raggi gamma del 19 luglio 2021 appartiene al primo tipo. Quando una stella massiccia raggiunge le fasi finali della sua evoluzione, collassa sotto la sua stessa gravità. Nel caso di una collapsar, si pensa che ciò porti alla formazione di un buco nero in rapida rotazione, con una parte dell’involucro stellare che cade sul buco nero provocandone l’accrescimento. Questo flusso di materia fa sì che il buco nero generi due getti potenti e stretti che perforano l’involucro stellare rimanente: i getti vivono per pochi secondi producendo le esplosioni di radiazioni più energetiche dell’Universo. I gamma ray burst, appunto.

Nonostante il fenomeno sia studiato dagli astrofisici da oltre 50 anni, non sono ancora chiari tutti i meccanismi che producono queste immense esplosioni di energia. Per esempio, di cosa sia fatto il getto e come la sua energia venga convertita in potentissimi raggi gamma. Uno dei metodi per capirne di più, è cercare di captare, simultaneamente al lampo di raggi gamma, anche altre emissioni (dai raggi X alla luce visibile) che possano dare ulteriori informazioni. Finora, vista la brevissima durata dei gamma ray burst, era molto difficile orientare i telescopi ottici in un tempo utile, ma attualmente le fotocamere robotizzate stanno risolvendo il problema. Questa volta è stato dunque possibile catturare la prima radiazione visibile di GRB 210619B ad alta risoluzione temporale.

“Misurare le proprietà della luce visibile emessa durante il lampo gamma ci ha permesso di guardare all’evento come se avessimo una lente d’ingrandimento, con la quale svelare i misteri del plasma che compone il getto”, spiega Gor Oganesyan, ricercatore presso il GSSI e primo firmatario del lavoro.

“Abbiamo osservato all’evoluzione dell’emissione visibile del GRB in diversi colori, questo ci ha permesso di analizzare la struttura temporale contemporaneamente nell’ottico e nel gamma. Con nostra sorpresa, mentre i raggi gamma mostravano lampi multipli della durata di un secondo, l’emissione ottica era regolare e semplicemente diminuiva con il tempo” ha commentato Sergey Karpov, ricercatore dell’Accademia delle Scienze Ceca e coautore del lavoro.

“Abbiamo elaborato un modello matematico dettagliato di questo lampo ottico”, dice Om Sharan Salafia, ricercatore dell’INAF e coautore dello studio. “Insieme ai dati raccolti dai satelliti Fermi e Swift, ci ha permesso di scoprire un getto estremamente veloce e magnetizzato che si espande in un mezzo a densità sorprendentemente bassa. Queste condizioni sono ideali per produrre un flash luminoso visibile come quello che abbiamo osservato”.

Osservare la luce visibile è il modo più antico di guardare il cielo. Tuttavia, le osservazioni ottiche di eventi come GRB 210619B sono estremamente rare, dal momento che non sappiamo quando e dove nel cielo possiamo aspettarci lampi ottici contemporanei alla prima emissione gamma. “Questo richiede un sistema di telescopi che coprano ampie porzioni di cielo e lo fotografino con esposizioni estremamente brevi, inferiori al secondo”, ha commentato Gregory Beskin, ricercatore dell’Osservatorio astrofisico speciale (Russia) e coautore del lavoro.

L’articolo “Exceptionally bright optical emission from a rare and distant gamma-ray burst” è stato curato da Gor Oganesyan (Gran Sasso Science Institute and INFN – Laboratori Nazionali del Gran Sasso); Sergey Karpov (Institute of Physics, Czech Academy of Sciences and Special Astrophysical Observatory of Russian Academy of Sciences); Om Sharan Salafia (INAF – Osservatorio Astronomico di Brera e Università degli Studi di Milano-Bicocca); Martin Jelínek (Astronomical Institute of Czech Academy of Sciences); Gregory Beskin (Special Astrophysical Observatory of Russian Academy of Sciences and Kazan Federal University); Samuele Ronchini (Gran Sasso Science Institute, INFN – Laboratori Nazionali del Gran Sasso and Pennsylvania State University); Biswajit Banerjee (Gran Sasso Science Institute and INFN – Laboratori Nazionali del Gran Sasso); Marica Branchesi (Gran Sasso Science Institute e INFN – Laboratori Nazionali del Gran Sasso); Jan Štrobl (Astronomical Institute of Czech Academy of Sciences); Cyril Polášek (Astronomical Institute of Czech Academy of Sciences); René Hudec (Astronomical Institute of Czech Academy of Sciences and Czech Technical University); Eugeny Ivanov (Special Astrophysical Observatory of Russian Academy of Sciences); Elena Katkova (Special Astrophysical Observatory of Russian Academy of Sciences); Alexey Perkov (Special Astrophysical Observatory of Russian Academy of Sciences); Anton Biryukov (Moscow State University, HSE University and Kazan Federal University); Nadezhda Lyapsina (Special Astrophysical Observatory of Russian Academy of Sciences); Vyacheslav Sasyuk (Kazan Federal University); Martin Mašek (Institute of Physics of Czech Academy of Sciences); Petr Janeček (Institute of Physics of Czech Academy of Sciences); Jan Ebr (Institute of Physics of Czech Academy of Sciences); Jakub Juryšek (Institute of Physics of Czech Academy of Sciences); Ronan Cunniffe (Institute of Physics of Czech Academy of Sciences); Michael Prouza (Institute of Physics of Czech Academy of Sciences).

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Redazione
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