Sono 598 i camosci “contati”
ABRUZZO – I conteggi autunnali hanno dato i risultati migliori e in particolare hanno permesso di contare 598 camosci di cui 134 piccoli dell’anno (tasso di natalità del 22%) , 68 yearling, animali di un anno (11%), e 396 animali adulti.
Nel 2017 sono state effettuate 9 giornate di conta in simultanea che hanno visto la partecipazione di Guardie del parco, tecnici del Servizio Scientifico, Carabinieri forestali, colleghi delle Riserve Naturali Regionali (Gole del Sagittario e del Monte Genzana e Alto Gizio) e volontari.
Oltre all’individuazione del numero minimo di camosci presenti, il conteggio consente anche di verificare la sopravvivenza dei nati nell’anno precedente.
Infatti, se si confrontano il numero degli yearling del 2017 con il numero dei capretti nati nel 2016, è possibile misurare il tasso di sopravvivenza al primo anno: Il 55% dei capretti nati nel 2016 sono sopravvissuti al 2017.
Il valore ottenuto rientra nei valori medi della sopravvivenza al primo anno per gli ungulati selvatici.
Dal 1993 il PNALM effettua conteggi in alta quota per monitorare l’andamento della popolazione che, a partire dal 2009 e per circa un paio di anni, ha mostrato una leggera flessione numerica dovuta alla bassissima sopravvivenza dei capretti nel primo anno di vita.
La mancanza di ricambio generazionale, dovuta alla scarsa sopravvivenza dei piccoli, ha portato inevitabilmente ad una leggera destrutturazione della popolazione, con uno sbilanciamento verso le classi di età più anziane e la riduzione di quelle subadulte, i cui effetti si sono mostrati anche negli anni successivi.
A differenza delle popolazioni reintrodotte negli altri Parchi , la popolazione storica del PNALM non ha una crescita esponenziale, ma mostra un andamento tipico di una popolazione stabile con oscillazioni naturali dovute, con molta probabilità, a meccanismi densità-dipendenti, ossia fenomeni naturali di autoregolazione per cui la popolazione resta più o meno stabile con alcune fluttuazioni a breve termine.
La maggior parte di questi meccanismi avvengono quando la popolazione ha raggiunto la capacità portante dell’ambiente.
Nonostante ciò, lo studio di questa popolazione non finisce mai di stupirci.
Nel corso di questi ultimi 20 anni, l’areale della popolazione si è modificato, spostando il suo baricentro nella parte meridionale del Parco.
Alcune aree, storicamente utilizzate dal camoscio, si sono “svuotate”, mentre in altre c’è stata una colonizzazione molto rapida e consistente.
E’ il caso del comprensorio Meta-Tartari che oggi ospita oltre 150 individui o quello del Marsicano nel quale è stato registrato negli ultimi anni un sorprendente incremento esponenziale con 179 animali contati di cui 49 capretti.
Segnali positivi provengono anche dalla zona a confine tra Lazio e Abruzzo: lungo la catena montuosa compresa tra M. Irto -Serra delle Gravare-m. Panico dove, da diversi anni, sono presenti numerosi branchi.
La conservazione del camoscio appenninico è stata una delle sfide più importanti e meglio riuscite delle Aree Protette, in primis del PNALM che, già nel 1992, si è adoperato coraggiosamente in un’operazione di reintroduzione di una specie rara ed in aree non ancora protette.
Si tratta di una sottospecie endemica del camoscio dei Pirenei, scomparso per cause antropiche in tutti i rilievidell’Appennino e presente, all’inizio del 1900, con pochissimi individui, esclusivamente nella costa Camosciara, tra i territori comunali di Civitella Alfedena e Opi.
Fu proprio questa importante presenza che portò al l’istituzione del Parco 95 anni fa.
Grazie al lavoro del PNALM, e successivamente delle altre aree protette, oggi il camoscio appenninico è presente in Majella, Gran Sasso, Sibillini e Sirente Velino e le attuali consistenze numeriche sono la testimonianza concreta del successo di queste reintroduzioni.
“Ringrazio i servizi del Parco e tutti coloro che hanno collaborato per il lavoro svolto – dichiara il Presidente del Parco, Antonio Carrara-. Grazie all’operosità dei Parchi, che nel progetto LIFE COORNATA hanno potuto completare e avviare le reintroduzioni sui Monti Sibillini e sul Sirente, oggi il camoscio appenninico, sebbene considerata una specie ancora “vulnerabile”, è l’esempio tangibile di un successo dell’azione di conservazione, che ha bisogno di attività concrete di gestione e del lavoro in sinergia tra istituzioni e associazioni. Resta comunque evidente che la conservazione di specie rare ha ancora bisogno del contributo delle Aree protette che offrono attualmente la maggiore garanzia di tutela e gestione del territorio”.