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Coronavirus, la proposta dell’Unione Regionale Cuochi Abruzzesi

da Marina Denegri

Necessari fondi e una formazione che certifichi di poter lavorare in sicurezza e garantire l’incolumità dei clienti e degli operatori stessi

unione regionale cuochi abruzzesi

PESCARA – In questi giorni l’Unione Regionale Cuochi Abruzzesi ha lanciato al Governo una proposta. Si tratta di un appello corale diretto sia alle istituzioni, a cui si chiede aiuto e supporto economico diretto, che ai ristoratori stessi.

La pandemia di Coronavirus impedisce la convivialità e mette particolarmente in crisi i settori produttivi che basano la loro attività proprio sulla socializzazione, come il turismo, l’ospitalità alberghiera, la ristorazione e tutta la filiera HORECA ad essi collegata. Il comparto ristorativo che opera in modo efficace solo in un contesto di benessere economico e sociale diffuso, elementi che in questa situazione mancano, subirà un drammatico tracollo di presenze.

La riapertura presuppone investimenti cospicui per gli adeguamenti alle nuove normative igienico/sanitarie, per il personale, per l’acquisto della materie prime, per le utenze e di converso la sospensione delle agevolazioni e degli indennizzi previsti per le chiusure delle attività. Tutto ciò a fronte, secondo le statistiche, di pochi ipotetici incassi con i quali non si riuscirebbe a pagare neanche le spese.

Senza corporativismo va tenuto in considerazione che il settore turistico, alberghiero e della ristorazione, che producono il 14% del Pil nazionale e occupano 3 milioni e 400 mila lavoratori, la cui maggioranza sarà disoccupata, sarà al collasso a breve; tutte le imprese della ristorazione, che sono in Italia ben 337mila e occupano 1 milione 350mila lavoratori, hanno bisogno di maggiore attenzione e sostegni rispetto agli altri comparti produttivi, che, alla riapertura, se pur con difficoltà e ridimensionamenti, avranno la certezza di continuare a lavorare. Per queste ragioni lo stato e le regioni, anche attraverso i fondi senza interessi della UE, della BCE e del FMI, devono destinare alle attività della ristorazione denaro a fondo perduto e senza burocrazia, e il prolungamento della cassa integrazione per tutti i lavoratori.

I sostegni e gli indennizzi dovranno essere diretti e erogati fino a quando non ci saranno le condizioni della socialità per la ristorazione e non saranno predisposte regole chiare attraverso una valutazione più specifica e attenta per il comparto ristorativo.

La “ristorazione à la carte” per sua natura è stata da sempre sinonimo di convivialità e ospitalità è non potrà diventare una “ristorazione da mensa”. Indubbiamente si dovranno ripensare l’organizzazione e l’offerta ristorativa ma senza snaturala dalle sue peculiarità. Bisognerà trovare il giusto compromesso tra la tutela della salute degli ospiti e dei lavoratori e la socialità del servizio ristorativo. Come ad esempio considerare che il distanziamento sociale dovrà essere tra i tavoli e non tra i commensali dello stesso tavolo, e per le particolari modalità di lavoro praticate in cucina c’è bisogno una maggiore flessibilità sulle norme di distanziamento tra il personale che vi lavora, ma anche prevedere il rimborso e il calmierare i prezzi dei dispositivi di protezione individuale e di sanificazione. Pertanto è necessario inserire nelle varie task force istituzionali, che indicheranno le modalità operative per la ristorazione, degli esperti del settore.

Questa drammatica situazione sociale impone a tutti gli operatori della ristorazione un ripensamento del loro lavoro che non consentirà nessun tipo di approssimazione ma al contrario maggiore etica e professionalità.

La nuova ristorazione del post pandemia dovrà prestare maggiore attenzione all’ospitalità, al servizio, alla qualità e alla salubrità di piatti offerti. Non ci può essere fiducia, ospitalità e qualità se non si sarà etici e professionali.

In questo nuovo contesto il cuoco professionista dovrà acquisire una elevata professionalità attraverso lo studio, la ricerca e la condivisione. Dovrà padroneggiare le tecniche di cottura e utilizzare gli strumenti tecnologicamente avanzati. Dovrà organizzare il lavoro attraverso il sistema del “cook & chill”, preferire l’utilizzo di prodotti di prossimità, prestare maggiore attenzione alla sostenibilità, al food cost e soprattutto al sistema di autocontrollo dell’haccp.

È auspicabile l’istituzione di una “certificazione professionale”, rilasciata da un Ente Statale, in cui si attesti le competenze tecniche di gestione dei processi produttivi da parte del cuoco, e ogni ristorante dovrà avere almeno lo chef di cucina che sia in possesso della certificazione.

Le difficoltà potranno essere superate con maggiore facilità se  il comparto ristorativo “farà sistema” – ristoratori, camerieri, cuochi, pizzaioli e produttori – tutti impegnati nella ricerca e nella innovazione, che non deve significare spettacolarizzazione ma la valorizzazione dell’offerta ristorativa in tutti i suoi aspetti.

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