Enogastronomia

L’emozionante storia dello “Zafferano dell’Aquila”, l’oro rosso d’Abruzzo

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La Leggenda narra che nel 1200 il monaco Santucci avesse piantato bulbi nella zona di Navelli, dove attecchirono perfettamente…

NAVELLI – “Zafferano dell’Aquila, italiano. Gusteau dice che è eccellente!”.  Alzi la mano chi non ricorda la scena di “Ratatouille”, il celebre film di animazione prodotto dalla Disney Pixar, in cui il protagonista Remy, simpatico topolino parigino che sogna di diventare un grande chef, trova un vasetto di zafferano nella dispensa di una vecchietta in preda al sonno e pronuncia questa frase!

“Eccellente”. In effetti, lo zafferano abruzzese è la spezia più pregiata che esista perché la sua coltivazione avviene, da secoli, secondo tradizione ed esclusivamente a mano. A partire dalla metà di ottobre se ne raccolgono i fiori, durante le prime ore del mattino, quando sono ancora chiusi; dopodiché si separano i tre stimmi e si fanno tostare sui setacci di quercia e di mandorlo dove maturano il loro colore rosso scuro. E questo avviene ogni giorno, per circa un mese. Durante la fase di essiccazione, lo zafferano perde gran parte del suo peso: basti pensare che per ottenerne un chilogrammo occorrono duecentomila fiori e circa cinquecento ore di lavoro nei campi. Questo spiega il valore di questa spezia, che, anche per questo, si fregia dell’appellativo di “oro rosso“.

Preziosissimo, dall’aroma raffinato, dal sapore persistente e dal colore deciso, lo zafferano é ampiamente utilizzato in cucina: viene impiegato per insaporire primi e secondi, per realizzare ricette gourmet capaci di conquistare i palati più esigenti o anche per dare un tocco di originalità e di classe al pranzo di Natale. Ma forse non tutti sanno che questa spezia ha anche proprietà cosmetiche, antidepressive, antinfiammatorie e persino afrodisiache.

Lo zafferano ha origini antichissime. Se ne trovano tracce nei papiri egiziani del II secolo a.C. e nella Bibbia; Omero, Plinio e Virgilio lo citano nelle loro opere. Secondo la mitologia greca Croco, giovane e affascinante guerriero, si era innamorato, della ninfa Smilace, favorita del dio Ermes; quest’ultimo, mosso da gelosia, finì per trasformarlo in un bulbo, da cui ogni anno sbocciava un bellissimo fiore. La mitologia romana, invece, racconta che Mercurio, lanciando un disco, colpì per sbaglio il suo amico Croco, uccidendolo e per ricordarne la memoria tinse con il suo sangue una pianta dal quale prese il nome. Furono gli arabi a diffondere lo zafferano (il termine deriva proprio dall’arabo zaʿfarān) nel Mediterraneo. Dalla Spagna, nella seconda metà del 1200, la coltivazione  arrivò in Italia grazie al monaco domenicano Domenico Santucci. La leggenda narra che il religioso, che lavorò molti anni per l’inquisizione spagnola, di ritorno da Toledo, avesse portato in Italia i primi bulbi, nascosti in un ombrello, e li avesse piantati nella zona di Navelli, di cui era originario, dove attecchirono perfettamente. La diffusione dello zafferano si estese dalla zona dell’Altopiano di Navelli a tutto il territorio circostante e divenne fondamentale per il mercato locale, contribuendo in particolare allo sviluppo della città dell’Aquila, al centro di importanti scambi commerciali con Milano e Venezia e, all’estero, con città del Centro Europa quali Francoforte, Marsiglia, Vienna, Norimberga ed Augusta. Il documento più antico che testimonia la coltivazione ed il commercio della spezia è un diploma di Re Roberto d’Angiò del 1317.

Dopo aver raggiunto il massimo di produzione nei primi anni del Novecento, la coltivazione dello zafferano ha conosciuto un costante declino. Grazie, però, alla creazione della cooperativa di coltivatori, alla consacrazione dell’ “oro di Navelli” nella Denominazione di Origine Protetta “Zafferano dell’Aquila” e di altre iniziative poste in atto per incentivare nuovi produttori, è ripartita e si é scongiurato il rischio che questo fiore meraviglioso e unico, anzi “eccellente” per dirla alla Remy o meglio ancora alla Gusteau, potesse andare perduto per sempre. E che l’Abruzzo dovesse rinunciare a uno dei suoi simboli.

Pubblicato da
Marina Denegri
Tags: Navelli

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