REGIONE – L’eredità lasciata dal Partito Comunista Italiano e in generale dai partiti di massa alla democrazia italiana: se ne è parlato nel corso del 47esimo incontro di “Un libro, il dialogo, la politica”, la rubrica in diretta Facebook curata da Michele Fina. Punto di partenza è stata la discussione sul libro di Piero Fassino “Dalla Rivoluzione alla democrazia. Il cammino del Partito Comunista Italiano (1921 – 1991)” (Donzelli), assieme all’autore, presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, e del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini.
Il dialogo si è aperto con un ricordo di Franco Marini, che per Fina “oggi sarebbe stato contento di partecipare e discutere con noi”. Franceschini fu vicesegretario del Partito popolare con Marini segretario, ne ha ricordato “la forza e determinazione, il suo essere abruzzese nelle battaglie sindacali e politiche”. Fassino l’ha definito un “protagonista straordinario della costruzione dell’unità sindacale dal 1968 in poi, sempre forte della sua identità di cattolico democratico. Lo spirito unitario ha ispirato Marini anche nel Partito Democratico”.
Fina ha presentato il libro di Fassino definendolo “bello, fruibile, non ha pretese storiografiche ma è piuttosto un saggio di formazione. Aiuta a leggere le fasi storiche in modo esemplare e a individuare cosa nelle tradizioni politiche può essere errore o elemento di lungimiranza. E’ poi un libro capace di inquadrare la storia di un partito all’interno della società italiana e nel contesto internazionale”.
Franceschini ha rievocato i contenuti e le vicende del libro dal punto di vista della sua provenienza democristiana. Tra Dc e Pci, ha detto, “ci sono sempre state allo stesso tempo rivalità e attrazione, e quando la capacità attrattiva ha funzionato ha prodotto la Resistenza e la scrittura della Costituzione, o comunque riforme fondamentali e risolto problemi del Paese. Quando non è accaduto è partito ad esempio il fascismo. C’erano gli scontri ma anche la consapevolezza che potevano essere accantonati perché esisteva un terreno comune. Questa tensione ha permesso la nascita del Partito Democratico ed è una lezione anche per l’oggi, penso all’approccio di dialogo con il Movimento Cinque Stelle che ha permesso il suo avvicinamento alla cultura di governo e ai temi sociali”.
Medesima interpretazione da parte di Fassino: “Quando c’è stata unità o almeno reciproco riconoscimento tra Pci e Dc le cose hanno funzionato, altrimenti il Paese si è bloccato. Questa lezione è un’eredità, così come l’ispirazione che in generale i partiti della Prima Repubblica traevano dall’interesse generale, una circostanza che si è persa nella Seconda Repubblica e che ho ritrovato nell’appello del Presidente della Repubblica e nel successivo discorso di Mario Draghi in Parlamento. E’ evidente che in fase di pandemia questo sia un valore da difendere assieme ad altri, quelli che hanno portato alla nascita del Pd e che quindi il Pd ha la responsabilità di affermare perché erano i punti di incontro delle tradizioni da cui è scaturito, come la giustizia sociale, l’eguaglianza, il rispetto della dignità umana”. Un’ulteriore eredità per Fassino “è il modo di concepire la politica, propria dei partiti di massa, caratterizzata da elementi come il radicamento e l’ambizione alla pedagogia e alla formazione della classe dirigente. Nella Seconda Repubblica anche questo elemento si è perso, i partiti hanno acquisito altre forme ma forme fragili tanto che la distanza tra cittadini e politica è aumentata. Il Pd uscirà vincente da questa fase se sarà presente nel rapporto con i cittadini e ritroverà radicamento sociale e territoriale”.
Nella seconda parte del dialogo Fina ha richiamato la possibile attualità di una caratteristica peculiare del Pci, ovvero l’internazionalismo. Fassino la vede nelle opportunità di guida democratica della globalizzazione e nella proposta del presidente americano della coalizione dei Paesi democratici, Franceschini con l’urgenza di portare meccanismi e processi democratici ai livelli più alti di governo della globalizzazione.
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