PESCARA – “Festa della Liberazione 25 aprile 2024. «L’alba che aspettavamo»: è stata felicemente definita così quella che diede avvio all’insurrezione generale e portò al crollo definitivo del fascismo e alla fine dell’occupazione tedesca. L’alba che aspettavamo era l’alba della libertà, il 26 aprile 1945.
Il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia aveva diffuso il 24 aprile un telegramma in codice con l’ordine numero 3000/5 di insurrezione generale: «Aldo dice 26 X 1». L’ora X era dunque l’una del 26, e queste erano le istruzioni: «Nemico in crisi finale. Applicate piano E27. Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga. Fermate tutte le macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette». I fascisti sono in fuga, ma non ancora i nazisti. A Milano per ordine espresso del generale SS Karl Wolff, i tedeschi non fanno nulla e non capiscono perché. Ma lo sa benissimo il comandante in capo delle SS in Italia: infatti ha personalmente trattato con gli Alleati in Svizzera e ha raggiunto un’intesa per la resa con onore, come se nulla fosse accaduto dal 1943 in poi, come se non fossero esistite le stragi di Pietransieri, Marzabotto, Boves, Sant’Anna di Stazzema, le fucilazioni, le impiccagioni e le torture. Wolff ha fatto tutto all’insaputa di Mussolini e persino di Hitler. In Italia, infatti, la seconda guerra mondiale terminò il 2 maggio, con la resa di Caserta firmata il 29 aprile, mentre in Europa finirà solo l’8 maggio.
L’ordine di insurrezione generale dà l’idea della guerra di popolo dopo una guerra senza popolo. Una guerra sbagliata e dalla parte sbagliata, chiusa dalla resa incondizionata dell’8 settembre 1943, segnata dalle sconfitte in Africa, in Russia, e sul territorio nazionale funestato dai bombardamenti e occupato da sud e da nord. La rinascita partì da questo quadro funesto, di dolore e di miseria.
Il 25 aprile 1945, secondo i dati conservati nell’Archivio di Stato, i partigiani sono 140.000, e diventano 250.000 il 26 aprile. I caduti sono 44.720 (di cui 13.381 all’estero), i mutilati e gli invalidi 21.186. Il prezzo più alto di caduti per la liberazione dell’Italia è stato pagato dai soldati della 5ª armata statunitense e dell’8ª armata britannica, con corpi d’armata e contingenti di 12 Paesi, che diventano 13 con gli italiani del nuovo esercito e i volontari irregolari, tra i quali con orgoglio annoveriamo i patrioti apartitici della Brigata Maiella, inquadrata amministrativamente nel Regio esercito e operativamente nell’8ª Armata britannica, prima nel 5° Corpo inglese e poi nel 2° Corpo polacco del generale Anders. La Brigata Maiella non faceva parte del Corpo Volontari della Libertà, non era una brigata partigiana, e condusse la guerra di liberazione fino ad Asiago, col più lungo ciclo operativo nella Campagna d’Italia, che costò agli Alleati oltre 300.000 perdite tra morti, feriti, dispersi e prigionieri. Troppo spesso il 25 aprile, nel celebrare la liberazione, dimentichiamo di rendere omaggio a questi caduti visitando uno dei purtroppo tanti cimiteri di guerra, di cui due sono proprio in territorio abruzzese: a Torino di Sangro e a San Donato di Ortona. Qui riposano i soldati che sostennero gli aspri scontri lungo la Linea Gustav che dall’inverno 1943 alla primavera del 1944 spaccò in due l’Abruzzo. E dimentichiamo i nostri soldati dell’esercito, della marina e dell’aeronautica, che si sono battuti al fianco degli Alleati per il riscatto e per la vittoria.
Alla nostra gente non venne risparmiato nulla: eccidi, distruzioni, sfollamento, fame, freddo, bombardamenti. Qui nacque la Resistenza, con le prima bande armate che si opposero alle violenze e alle sopraffazioni, da subito antitedesca e antifascista.
Pescara, città fantasma dopo le immani distruzioni dei bombardamenti del 31 agosto e del 14 settembre 1943, venne liberata tra il 10 e l’11 giugno 1944 dai soldati indiani della 4ª divisione, pochi giorni dopo la presa di Roma e l’ordine di ritirata generale all’esercito tedesco. Ma la popolazione sarebbe rientrata a Pescara solo a novembre, per iniziare l’opera della ricostruzione dalle macerie materiali e morali della guerra e della contrapposizione tra italiani che ha lasciato profonde ferite, anche nelle coscienze, arrivate sino ai giorni nostri.
Fermiamoci a riflettere, non solo il 25 aprile, su quanto è stato aspro e accidentato il cammino per la riconquista della libertà e della democrazia. Rileggiamo – e lo dico ai giovani che oggi sono qui, ma anche a chi non l’avesse ancora fatto – quello straordinario romanzo, «Il sentiero dei nidi di ragno», con cui già nel 1947 Italo Calvino asseriva di voler «lanciare una sfida ai detrattori della Resistenza e nello stesso tempo ai sacerdoti d’una Resistenza agiografica ed edulcorata».
Riappropriamoci dunque della nostra storia e delle nostre radici, senza retorica e con animo sereno, soprattutto senza voler per forza guardare al passato e al presente attraverso le lenti deformanti di ideologie contrapposte superate e non rimpiante. Solo così faremo giustizia di quegli anni, solo così potremo apprezzare compiutamente il valore della libertà e della democrazia conquistate allora con il sangue e oggi tenute vive con la consapevolezza di doverle coltivare giorno dopo giorno. Viva l’Italia!