PESCARA – Sabato prossimo, 27 gennaio, per la Giornata della memoria 2018, la Fondazione Edoardo Tiboni per la Cultura e l’Associazione Culturale Ennio Flaiano al Mediamuseum di Pescara hanno organizzato una no-stop di eventi ed iniziative da non perdere che partiranno la mattina per proseguire senza sosta fino alla sera. Vediamo nel dettaglio tutti gli appuntamenti previsti.
Si comincia alle ore 11,00 con la proiezione, rivolta in particolare alle scuole (su prenotazione) ma non solo, del film “Corri ragazzo corri” di Pepe Danquart: fuggito dal ghetto di Varsavia con l’aiuto del padre, Srulik, un bambino ebreo di otto anni, si finge un orfano polacco per scampare alle truppe naziste. Con il nome fittizio di Jurek, tenta in ogni modo di sopravvivere e di essere coraggioso, attraverso la foresta e oltre, in cerca di una casa o di una fattoria dove avere cibo in cambio del proprio lavoro. Sarà anche consegnato ai nazisti, da cui riuscirà fortunosamente a svignarsela, continuando una dolorosa fuga verso la libertà: nel suo cammino, in cui si avvicendano le stagioni, entrerà in contatto con uomini e donne disposti ad aiutarlo oppure decise ad ucciderlo, fino alla fine dell’ostilità bellica. È la storia di una perdita di identità quella raccontata nel commovente film di Pepe Danquart, un lento e progressivo allontanamento dalle proprie radici compiuto da un bambino che ha giurato al proprio padre di sopravvivere, contro tutto e tutti. Ispirandosi al best seller “Corri ragazzo, corri” di Uri Orlev, che racconta la storia vera di Yoram Friedman, il regista fa del suo battagliero protagonista un simbolo della libertà e dell’intelligenza, uniche armi possibili contro l’abominio nazista. La fame di vita di Jurek scorre parallela alla cancellazione del suo passato, del proprio vero nome e della propria religione, lentamente, facendo palpare con mano la sofferenza di non avere diritto ad un posto nel mondo.
Si prosegue alle ore 13,00 con il film “Hanna Arendt” di Margarethe von Trotta: il film ricostruisce un periodo fondamentale della vita di Hannah Arendt: quello tra il 1960 e il 1964. All’inizio della vicenda, la cinquantenne intellettuale ebrea – tedesca, emigrata negli Stati Uniti nel 1940, vive felicemente a New York con il marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher. Ha già pubblicato testi fondamentali di teoria filosofica e politica, insegna in una prestigiosa Università e vanta una cerchia di amici intellettuali. Nel 1961, quando il Servizio Segreto israeliano rapisce il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità a Buenos Aires, la Arendt si sente obbligata a seguire il successivo storico processo che si tiene a Gerusalemme. Nonostante i dubbi di suo marito, la donna, sostenuta dall’amica scrittrice Mary McCarthy, chiede e ottiene di essere inviata in loco come reporter della prestigiosa rivista ‘New Yorker’.
Alle ore 15,00 è la volta del capolavoro di Roman Polanski “Il pianista”: una storia sul ghetto di Varsavia. Siamo nel ’38. Comincia a stringersi la tenaglia nazista che produrrà le prime limitazioni per gli Ebrei: prima leggere -la stella di Davide cucita sul braccio- poi pesanti, poi intollerabili, poi mortali. Fino alla decimazione. Wladyslaw, giovane, talentuoso pianista, sta suonando Chopin per una registrazione radiofonica proprio mentre arriva la notizia dell’invasione nazista della Polonia. Il giovane assiste all’orribile spirale: tutta la famiglia deportata e poi le condizioni del ghetto: bambini che muoiono di fame, gente uccisa per nulla e una piccola parte di ebrei che tradiscono per sopravvivere. Alla fine Wladyslaw è di nuovo al piano, proprio come all’inizio. Ma naturalmente l’esperienza lo ha devastato. Niente, neppure Chopin sarà più come prima. Palma d’oro al festival di Cannes nel 2002.
Alle 18,00 la scrittrice e giornalista Paola Sorge presenterà i suoi recentissimi libri, “Una repubblica tra due Reich” (Raineri Vivaldelli editore): Io, Io, ancora Io, così iniziava i suoi discorsi l’ultimo kaiser, e l’Io del fuhrer lo conosciamo bene. Weimar, per parafrasare il titolo di questa ultima fatica di Paola Sorge, è una repubblica tra due Io. La cosa straordinaria è la volontà di modernità e progresso assolutamente contemporanei, che questa democrazia ha rappresentato. Più ancora della Comune di Parigi, della Repubblica spagnola e dell’Ottobre russo, Weimar è il tentativo più avanzato di rendere vivi i valori della Rivoluzione francese. Proprio per questa sua modernità, sgomenta la violenza da cui è stata travolta e “Il Fuhrer e la sua corte” (Clichy Edizioni): una raccolta degli articoli comparsi su «la Repubblica» dal 1990 in poi, molti dei quali veri e propri «scoop» con notizie, curiosità e storie sorprendenti uscite in Germania dopo la fine della «rimozione» e sino ad allora ignorate dal pubblico italiano. Dall’infanzia e dalle curiose, intriganti vicende che portarono Hitler al potere, agli attentati, alle vendette e al suicidio finale. Le folli idee e le «gesta» di Göring, Goebbels, Eichmann. Le donne che amavano pazzamente il Führer, Schmitt, i Krupp, la regista Leni Riefenstahl, i detrattori più celebri, tra cui Thomas Mann, Hannah Arendt, Joseph Roth. E ancora le vittime, dagli omosessuali rinchiusi a Sachsenhausen a Primo Levi, a Walter Benjamin e ai suoi familiari. Infine il dibattito sul nazismo, da Syberberg a Ernst Nolte. L’evento è organizzato in collaborazione con l’Istituto nazionale di Studi crociani e vedrà la partecipazione, oltre che dell’autrice, di Giovanni Benedicenti e di Marco Presutti.
Alle 19,15 Franca Minnucci terrà un recital con letture di brani tratti da La Banalità del male di Hanna Arendt, Diario del carcere di Luise Rinser, Oltre la disperazione di Aharon Appelfeld.
Infine alle ore 20,30 proiezione del film “Senza destino” di Lajos Koltai, tratto dal libro “Essere senza destino” di Imre Kertész, Premio Flaiano per la Letteratura nel 2001 e alcuni anni dopo insignito del Premio Nobel: racconto doloroso e dettagliato dell’esistenza in un campo di concentramento attraverso lo sguardo di Gyuri, un giovane ebreo ungherese. Dopo la deportazione del padre in quelli che sono creduti semplicemente campi di lavoro, anche Gyuri viene rastrellato sull’autobus che lo sta portando a scuola. Dopo un periodo passato ad Auschwitz, viene poi spostato a Buchenwald, dove viene perseguitato da un kapò ungherese e dove inizia la sua routine di fatica, dolore, sottomissione e degrado: perde i lunghi riccioli neri, dimagrisce progressivamente, spala sassi, trasporta sacchi pesantissimi, si lava di rado, contrae la scabbia, è costretto a dormire vicino ai moribondi e a passare intere giornate in piedi, al freddo o sotto la pioggia. Eppure non “perde se stesso” – come dirà una volta uscito dal lager, prelevato per miracolo da una fossa comune dalle truppe alleate – né il contatto con la realtà.
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