Il Presidente del CNG lo ha detto alla vigilia dell’importante Forum Mondiale sulle Frane che prenderà il via oggi a Roma
Oggi , 3 ottobre, prenderà il via il secondo Forum Mondiale sulle Frane che si terrà a Roma, nella sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).
Organizzato dal Global Promotion Committee of the International Programme on Landslides (IPL), il forum – che vede l’ ISPRA in prima linea tra le istituzioni coinvolte – si pone come obiettivo : “Passare dalla teoria alla pratica”. Metterà a confronto le diverse esperienze internazionali sul tema dei fenomeni franosi dal punto di vista politico, scientifico, tecnologico e della gestione delle emergenze.
Nelle diverse sessioni si succederanno i maggiori esperti mondiali nel campo della riduzione del rischio da frana.
Alla vigilia dell’importante evento scientifico il Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi (CNG) , Gian Vito Graziano, che parteciperà al Forum , ricorda:
ben 485.000 sono le frane censite in Italia, ed è forse una stima per difetto, 5.581 comuni, pari al 68,9% del totale presentano aree a rischio idrogeologico elevato, negli ultimi 80 anni si sono succedute 11.000 frane e 5.400 alluvioni e secondo l’ultimo dossier di Legabiente ogni anno in Italia vengono consumati circa 500 kmq di suolo, che equivale a dire che ogni 4 mesi sul territorio della nazione nasce un’altra Milano. Anche la Capitale non è esente dal dissesto idrogeologico e si pensi che in Abruzzo non c’è ancora un Servizio Geologico o Geofisico regionale, ma soprattutto che nonostante tutte le emergenze in questo momento nessuna legge organica di governo del territorio vige sul territorio italiano. Oggi in Italia sentiamo un ritardo politico-istituzionale, conseguenza del forte ritardo culturale, che si traduce nel rincorrere le emergenze, una dopo l’altra, ponendoci solo l’obiettivo di reperire le risorse economiche necessarie per ricostruire la zona colpita, dopo aver fatto il conteggio dei danni e purtroppo spesso anche quello dei morti. Tutto ciò condito da un depauperamento dei nostri servizi tecnici nazionali e regionali (si pensi che in Abruzzo non c’è ancora un Servizio Geologico o Geofisico regionale) e delle nostre reti di monitoraggio e di sorveglianza, a causa di una ormai duratura crisi economica, ma anche di una colpevole disattenzione da parte di tutti.
Graziano prosegue e lancia la proposta:
chiediamo dunque allo Stato italiano, una legge organica di governo del territorio che ricostruisca la filiera delle competenze, metta in campo azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria dei nostri bacini idrografici, ponga le base di una riforma urbanistica e che faccia tesoro di quelle esperienze positive che in alcuni casi hanno visto il geologo impegnato a fronteggiare la difesa del suolo accanto alle istituzioni governative.Mi riferisco a quelle attività di presidio territoriale che hanno portato a fronteggiare situazioni di rischio idrogeologico prima del verificarsi dell’eventuale evento calamitoso, che poi spesso non si è verificato, e quindi non sempre e soltanto in fase emergenziale.
Molta è la strada da percorrere, soprattutto in un momento di evidente decadimento del sistema politico ed istituzionale e di grande crisi economica globale, ma spero che i governi di tutto il mondo, e non solo quello italiano, comprendano che investire in difesa del suolo, investire in geologia, aiuta ad uscire dalla crisi, perchè crea risparmi economici notevoli rispetto alle spese del post-emergenza e soprattutto definisce modelli di comportamento per tutti i cittadini.
Graziano richiama l’attenzione sulla distruzione del patrimonio edilizio e soprattutto sulla gravità del dissesto idrogeologico:
assistiamo anche, quasi senza più indignarci, alla distruzione del nostro patrimonio edilizio anche quando questo ha un elevato valore architettonico e/o archeologico, come nel caso di Pompei.
E intanto permettiamo che continuino a dilagare le violenze sul territorio, fatte di incendi, di abusi edilizi, di piani regolatori dissennati, di assenza di manutenzione, che creano sì le condizioni perché si compiano altri disastri, ma che di fatto accettiamo con sempre meno indignazione.
Può un Paese che ama definirsi civile permettere tutto questo? Può un Paese, davanti a disastri come quello del messinese del 2009 , ma ne potremmo citare tanti altri, continuare a vivere sull’onda emotiva e non conservare quella ragione che dopo l’emozione è necessaria per compiere scelte corrette e coraggiose?
Ci si chiede allora che fare, come intervenire in maniera seria e programmatica, in una situazione in cui all’assenza di una coscienza vera sulle problematiche del rischio idrogeologico, si aggiungono un frazionamento colposo delle competenze sulla gestione del territorio ed una cronica mancanza di fondi.
Credo che nessuno abbia delle ricette di sicuro effetto ma di certo occorre partire dal concetto di “emergenza”. Il dissesto idrogeologico mette a rischio la vita e la sicurezza dei cittadini, dunque è una emergenza e come tale va affrontato.Quando in Sicilia il problema dell’acqua e quello dei rifiuti assunse livelli di preoccupazione particolarmente elevati, il governo regionale varò una struttura d’emergenza, poi trasformata in agenzia regionale, conferendo alla stessa ed ai Prefetti una serie di forti poteri decisionali. Quando, ormai di frequente, in Campania l’immondizia è fonte ricorrente di preoccupazione sociale, riempie le strade e pone a rischio la salute degli abitanti, il Governo nazionale vara provvedimenti emergenziali finalizzati alla normalizzazione della situazione.
Se i Governi nazionale e regionale ritengono che gli oltre 30 morti del messinese, aggiunti ai tanti altri della Valtellina, di Sarno, di Soverato , cui si aggiungono i più recenti crolli di Pompei e l’alluvione del Veneto, abbiano fatto superare la soglia della fatale accettazione del problema e dunque si siano superati i limiti per un Paese cosiddetto civile, vadano allora oltre le condivisibili dichiarazioni rilasciate a poche ore dalla tragedia ed affrontino il dissesto idrogeologico come una emergenza, mettendo in campo le risorse economiche e strutture d’intervento che, prima di tutto, sappiano fare sistema tra le diverse competenze (Ambiente, Protezione Civile, Geni Civili, Forestale, ecc.).
Cosa resta invece dopo le conferenze stampa, i convegni, i protocolli d’intesa e le audizioni parlamentari? Sta veramente cambiando qualcosa in Italia nelle politiche di salvaguardia e di manutenzione del territorio o dobbiamo tristemente pensare che le troppo numerose vittime del dissesto idrogeologico siano state vane?
Il problema investe, lo abbiamo visto, l’intero territorio nazionale ed anche Roma non è esente da rischi idrogeologici e da fenomeni di dissesto idrogeologico come le frane, anche se meno eclatanti, localizzate soprattutto lungo i margini occidentali dell’alto di Monte Mario – Gianicolo , o interessanti i versanti più acclini delle valli , approfondite dal reticolo fluviale , anche queste innescate spesso dall’intervento dell’uomo.
Graziano ha sottolineato l’importanza del protocollo di intesa firmato tra Ordine dei Geologi del Lazio e la Protezione Civile che consentirà di avere il geologo di città . I geologi sono le vere sentinelle del territorio che spesso , in Italia , vengono considerate poco . Quanti Comuni, quanti Enti in Italia hanno il geologo nella loro pianta organica? La risposta la possiamo dare subito , perchè di geologi nelle amministrazioni pubbliche ne abbiamo pochi.