L’accusa, che poi non è stata provata, era quella di ricettazione. In particolare il giorno prima l’uomo era stato diffidato dagli agenti dal parcheggiare nelle adiacenze di un negozio della catena Ica, all’angolo tra le strade Riddargatan e Banergatan in un quartiere di Stoccolma detto Ostermalms, situato in zona centrale, e comunque generalmente abitato da borghesia locale dove erano avvenuti diversi furti.
L’uomo si trovava in sosta nelle vicinanze del supermercato poichè l’esercizio commerciale offre anche un servizio di wi-fi gratuito che si estende fino all’esterno, dovendo prendere la rete e svolgere lavori con il computer. La polizia lo ha subito sottoposto ad accertamenti procedendo a una perquisizione sia personale che del suo mezzo, intimandogli poi, non avendo rilevato nulla, di non parcheggiare più nei pressi della Ica, altrimenti sarebbe stato arrestato. E ciò nonostante l’uomo avesse subito spiegato per quale necessità si recasse in quel posto.
“Agli abitanti del luogo”, racconta in una lettera di protesta inviata all’ambasciatore d’Italia in Germania (in Svezia è vacante), “evidentemente non sono passato inosservato, non rientrando nei parametri della nordisk ras (razza nordica, ndr)”. Rivendicando il suo diritto alla libera circolazione, “pienamente vigente nel Regno di Svezia”, l’uomo il giorno dopo è tornato nello stesso luogo per fare compere alla Ica. Qualcuno ha avvisato la polizia e l’aquilano è stato così ricercato e arrestato.
Portato nella stazione di polizia di Kungsholmen, in sede di interrogatorio il rappresentante di commercio, con non poco stupore, ha saputo di essere accusato di ricettazione, non soltanto perchè si era fermato nuovamente in quel luogo, ma perchè, ai sospetti di chi lo aveva segnalato agli agenti, aveva la faccia da georgiano. L’uomo – che ha messo nero su bianco quanto accadutogli nella lettera inviata all’ambasciatore – ha dovuto fronteggiare un pressante interrogatorio sia sulle sue eventuali connessioni con la criminalità georgiana, e poi sullo stato patrimoniale personale e di famiglia, in Italia, venendo quindi rimesso in libertà in giornata, ma subendo il sequestro di un computer e un telefono che gli sono stati riconsegnati solo ultimamente.
L’aquilano, in Svezia da oltre dieci anni, ha quindi chiesto all’ambasciatore a Berlino Pietro Benassi “se non ritiene di dover interessare i massimi rappresentanti della politica estera del nostro Stato, affinchè accertino, mediante intervento diplomatico presso le equivalenti autorità svedesi, se la loro corrispondente polizia nello svolgimento del proprio servizio conosca anche metodi meno concutenti dei più elementari diritti e delle libertà che spettano ai cittadini all’interno della Ue, e se sia condizione effettivamente sufficiente essere privati della libertà se soltanto si ha la faccia da georgiano”.
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