A Pescara hanno portato in scena una rilettura delle storie e delle leggende della loro tradizione. Una comunione tra uomo e natura, vista anche la presenza sul palco di un finto yak e di un altrettanto finto leone. Lodevole, infine, il “retrogusto” di stampo solidale, volto a sensibilizzare il pubblico sulla situazione dei religiosi tibetani: lo spettacolo, infatti, aveva la finalità di raccogliere fondi per aiutare a migliorare le loro condizioni di vita.
La quiete che i monaci riescono a trovare con la modulazione della voce e la profondità gutturale consente di entrare in un’armonia interiore che poi si riflette sul mondo esterno. Un’atmosfera che si respira un po’ in tutta l’Asia buddhista: dalla Cina all’India, dove Buddha iniziò la sua predicazione, fino alla Birmania, dove invece avvenne concretamente la divulgazione del credo del Maestro.
Senza contare, ovviamente, quel Tibet che rappresenta un pianeta a parte e che l’altra sera in molti hanno potuto conoscere più da vicino.
[Si ringrazia Massimo Giuliano per la preziosa collaborazione]
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