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Il futuro del cicloturismo abruzzese visto da Passo Lanciano

da Redazione

Giancarlo OdoardiForse è il caso di prestare più attenzione anche al fenomeno del ciclismo extraurbano

PESCARA – Sono andato a Passo Lanciano, da Pescara. In bici. In tutto 120 km, percorsi a 21 di media per un totale di 5 ore e 45 minuti. In movimento, perché alla fine ne ho impiegati quasi sette per via delle pause ai vari bar per un caffè, una spremuta, un succo di frutta e le soste alle fontane disseminate lungo il percorso.
Ho monitorato il percorso con la mia app di riferimento caricata sullo smartphone. Ho controllato sulla relativa pagina social e ho visto che ci sono quelli che sono saliti in cima impiegando un terzo del mio tempo e andando al triplo della mia velocità. “Tutta salute”, mi viene da dire. Bici giusta, di quelle leggerissime al carbonio, magari qualche decine di anni di meno, e un po’ di allenamento, e il gioco è fatto.
Ma non eravamo in gara io e i miei amici e tutti gli altri ciclisti che insieme a noi e alla spicciolata con i propri tempi e ritmi sono saliti su. Nel piccolo, e per quel che può valere, ognuno forse in competizione con se stesso, quel tanto che basta per intraprendere l’impresa.
I mille e trecento metri e oltre di altitudine, che nella parte finale si raggiungono immersi nel bosco, sono una meta ciclisticamente molto ambita e, seppur impegnativa, nella bella stagione salgono in molti. E forse oggi, nonostante il tracciato selettivo, credo cominciano anche ad essere di più.
La mia è una supposizione perché al riguardo, pur essendo il cicloturismo un fenomeno in crescita, sinceramente non so chi si occupi di censirlo, se non indirettamente come presenze presso strutture ricettive.
Se così fosse, quelli che salgono a Passo Lanciano e mete similari sfuggono al conteggio, pur rappresentando una presenza economica interessante per il consumo alimentare: immagino si vada dal mordi e fuggi di chi si porta la barretta energetica da casa (come ho fatto io) a chi si trattiene al bar per una piccola consumazione, a chi, invece, ci infila anche la pausa pranzo.
Parliamo ovviamente dei locali, cioè di gente che sbriga la pratica in giornata. Perché potremmo anche pensare che il fenomeno possa interessare utenti che vengono apposta e restano giorni per girare sulle nostre strade. Come succede per ben altri territori, con altre storie, anche ciclisticamente importanti, dove il fenomeno, da chi ne ha capito la portata e lo spessore economico, viene anche indotto.
Credo si capisca cosa intendo. Ma voglio argomentare meglio con alcune osservazioni.
Primo. Rimanendo sull’ascesa a Passo Lanciano e non includendo tutto il tracciato, più di una volta, anzi parecchie, ho incontrato un fondo stradale così dissestato da trovarne conferma nel giudizio nel resto della compagnia. Le automobili, tra gomme, ammortizzatori, balestre, sedili e quant’altro non sentono certe asperità, soprattutto sul lato destro della strada dove invece le bici sono costrette a transitare. E allora e spesso ci si allarga verso sinistra perché in certe situazioni si rischia anche di forare, andando però ad invadere uno spazio meno sicuro per le due ruote.
Secondo. Sarebbe, anzi, è vietato andare affiancati sulla strada, ma per i ciclisti è una componente motivazionale del viaggio, quasi una necessità che credo sfugga ancora a molti, specie non praticanti. Come dire, quella dell’intrattenersi in chiacchiere con il compagno o la compagna di strada è parte sostanziale del viaggio, perché è condivisione oltre che dei propri fatti anche dello sforzo, della fatica, delle sensazioni. Viaggiare incolonnati e in silenzio non rientra nella logica della bicicletta, e questo dovrebbe essere molto chiaro anche a chi progetta piste ciclabili monoutente: roba vecchia, ormai non vanno più bene e qualcuno al nord (d’Europa) se n’è accorto e comincia ad allargare i tracciati. Siamo animali sociali e non ci piace stare in solitudine. Bike to coast, un pezzo del futuro prossimo del cicloturismo abruzzesse, dovrebbe tenerne conto.
Terzo. Questa storia si porta dietro anche la questione della sicurezza: per un automobilista superare un ciclista senza mettere la freccia e mantenendosi a distanza di poche decine di cm è un fatto ordinario, figuriamoci se poi i ciclisti sono affiancati. Ma questa è una faccenda ben nota su cui gli schieramenti sono netti e ognuno con ragioni ben radicate. Credo si debba lavorare sui due fronti: maggiore responsabilità e attenzione da parte di entrambi (sceso dalla sella ognuno di noi è anche automobilista) e più spazio dedicato ai ciclisti, anche se questo si trascina dietro ragionamenti progettuali enormi. Ma che vanno affrontati.
Quarto. Chi fa sempre gli stessi percorsi, dopo un po’ li conosce a memoria, chi no ha invece bisogno di informazioni. Ma se alcuni tracciati cominciano ad essere interessati da una soglia critica di uso, oppure si vuole che ciò accada, la segnaletica comincia a essere elemento chiave e determinante di “pratica consapevole”. Sapere dove ci si trova, quanti km sono stati percorsi, quanti ne mancano alla fine, e spingendosi anche oltre, qual è la pendenza, il grado di difficoltà, quali sono i presidi sul percorso (fontanelle, punti di soccorso meccanico, ristoro, alloggio, ecc.), anche per chi ne è informato, tutto ciò diventa segno di attenzione al mondo delle due ruote, molto apprezzato dai praticanti.
Riguardo tutto ciò, tempo fa il Presidente della Provincia di Pescara lanciò l’idea di creare uno spazio istituzionale di riferimento, partendo dal problema della sicurezza per poi affrontarne anche altri. Di questa iniziativa trovo traccia in una pagina FB: “Ciclisti sicuri”, dedicata alla sicurezza dei ciclisti sulle strade provinciali, che per adesso si limita a riportare utili pillole di riflessione sul tema.
E’ già una grande cosa stare sul pezzo, riportando anche notizie di iniziative di altri, però sarebbe più utile se non necessario mettere mano alle cose da fare per rendere il nostro territorio più attento e accogliente rispetto ad una pratica ciclistica già diffusa, ma che potrebbe crescere molto, specie se sostenuta non solo in termini motivazionali ma anche infrastrutturali, certo difficili da gestire: ma da qui bisogna passare.
Il prossimo tracciato verde della Costa dei Trabocchi, più tutto il resto del progetto Bike to coast, sarà un banco di prova quasi unico ed irripetibile dove non si potrà sbagliare. Le considerazioni di cui sopra, non mie ma dei ciclisti praticanti abruzzesi e non, occasionali e non, per me devono stare nel pacchetto.

(a cura di Giancarlo Odoardi)

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