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Il valore del sacrificio: quello che i giovani d’oggi devono ancora imparare

da Redazione

nonno nipote

CAMPO DI GIOVE – Oggi, vi racconto la storia di mio nonno 94 anni classe 1926, da me a lui passano ben settant’anni di differenza, di storia, di vita. Mio Nonno è nato a Campo di Giove, un piccolo borgo montano incastonato sotto le falde della Majella, nella parte vecchia del paese, in una casupola arroccata, distrutta nel dopoguerra, figlio unico. Da sempre, a noi più giovani della famiglia ha insegnato il valore del sacrificio, quello che, lui, bambino di allora, dovette sopportare, portandoselo dentro per sempre.

A undici anni, mangiare attorno al fuoco un pezzetto di “pizza di granone” ovvero, farina di mais, miscelata ad acqua e cotta sui carboni, mangiata, tra l’altro al buio! L’unica fonte luce e di calore che potevamo avere, mi dice era il fuoco del camino. La sera, quando mia madre rincasava, correvo verso di lei e porgevo una mano sulla tasca più grande del grembiule ma, era, vuota.

Non ci trovavo nemmeno un pezzo di pane. Spesso e volentieri Nonnò, prosegue “Mangiavano meglio i maiali”, quante volte ho mangiato le patate lesse, quelle piccole, destinate al maiale! A 13 anni mi misero già a seguito delle pecore “alla montagnola”, una zona poco distante dal paese e, il padrone delle pecore era un vecchio pastore di nome “Pasqualejie”.

Iniziai “l’avventura”, dormivo sotto le piccole grotte della Majella, ma non dormivo, riposavo, socchiudevo gli occhi, perché il gregge andava pure guardato. Passata l’estate arrivava l’inverno e mio padre, classe 1902, mi raccomandò al vecchio pastore, implorandolo di portandomi con se per farmi sfuggire al peso della fame. Partii da Campo di Giove subito dopo il 20 settembre, lungo le vie della transumanza la vita era dura, dormivo su un sacco di paglia, e potevo mangiare, alla sera, dopo il pascolo, pancotto e patate, e solo quello, non di più.

Spesso, i suoi discorsi culminano sui racconti legati alla seconda guerra mondiale, quando insieme ad un gruppo di amici, si trovarono costretti a fuggire da Campo di Giove, sperando di raggiungere le linee alleate passando per il passo di “Corpi Santi”, un percorso che doveva arrivare a Fara San Martino, passando per Monte Amaro. Ci avviammo di notte, io e quattro amici miei, il più anziano indicava la strada: conosceva la montagna palmo a palmo, era un pastore.

Ad un tratto egli cadde, su un costone di roccia, scivolando a valle, perdemmo l’orientamento, non avevamo cibo, avevamo un paio di pelli di mucca essiccata, con dei lacci, quelle dovevano essere le scarpe! Senza sapere a cosa andavamo incontro ci buttammo dalla parte opposta della montagna. Di lì arrivammo nei pressi di Palena dove c’era il fronte, fummo presi, e portati con un camion a Carmiano, un piccolo paesino in provincia di Lecce, dove ci somministravano duecento grammi di pane al giorno.

Vivevamo quei giorni senza acqua, senza luce, avevamo arrangiato delle postazioni per dormire mettendo dei mattoni sul pavimento di un rudere, sui quali avevamo appoggiato la paglia che serviva da materasso. Dopo pochi giorni, fummo trasferiti in una scuola, dove c’era un tubo rotto con dell’acqua che fuoriusciva, lì potemmo lavarci.

Ci arrivò la notizia della liberazione di Sulmona e allora, ci mettemmo in cammino per raggiungere l’Abruzzo, passava solo chi aveva il lasciapassare, tant’è che tante volte fummo rimandati indietro, fino a quando un giorno, passammo. Arrivammo dopo giorni di intero cammino, a Tagliacozzo, e da lì, proseguimmo fino a Campo di Giove. L’8 giugno 1944 venne liberata Campo di Giove, quel giorno entrarono i combattenti della Brigata Majella e finalmente si chiudeva una delle pagine più buie della storia.

Questa è la mia storia Nonnò. Vivevamo una vita povera ma essenziale, dove i cardini dell’esistenza erano mossi dalla pazienza, dalla miseria, dalla forza interiore. Per noi non esisteva lo spreco, tutto era prezioso. Vedi quante comodità avete voi? Il tepore delle vostre case, i giochi, il computer, internet, i frigoriferi e le dispense sempre ben fornite, vestiti, riscaldamento e tanto altro. Vedi, io, non ho potuto godere di queste vostre stesse cose, di tutto questo benessere.

La vita per me, e per tanti altri come me, ha segnato un’altra strada, ed oggi io, mi ritengo fortunato, perché posso raccontarlo a voi, miei nipoti, ma a nessuno auguro quello che io ho trascorso. Anni di soprusi, di mancate libertà, di miseria e di speranze che sembravano perdute, sacrifici e privazioni. Io, sinceramente, spesso e volentieri, non comprendo le vostre lamentele, specialmente quelle di voi ragazzi di oggi. Non le capisco, forse perché io non le ho vissute e perché per me, una vita come quella di oggi mi sembra un sogno. Non vi manca niente, avete strumenti, affetti, possibilità di studio, benessere a portata di mano. Potete viaggiare, potete leggere e scrivere, potete mangiare, anche per giorni interi, cosa vi manca mi chiedo? Cosa vi manca?

Noi giovani d’oggi abbiamo avuto il privilegio di conoscere e di nascere in un paese libero, ma oggi, a seguito di una situazione sanitaria allo stremo, dove medici ed infermieri, personale e militari combattono una battaglia giusta, per la nostra salute, quando ci si chiede di fare un piccolo sacrificio e cioè di restare a casa, per qualche mese, sembra che sia caduto il mondo, sembra che la terra sotto i piedi non ci sia più, ci sentiamo mancare qualcosa di vitale importanza. Eppure, le lezioni del passato, dovrebbero educarci ad un maggior senso del sacrificio, responsabilità e sopportazione. Non sono questi forse, i valori dei quali dovremmo riappropriarci?

Viva l’Italia!

A cura di Marco Del Mastro

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