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Imprese, l’allarme della moda in Abruzzo: chiesta riapertura della filiera

da Redazione

carla ripaniPESCARA – Riaprire al più presto anche in Abruzzo la filiera produttiva della moda. É la richiesta pressante che arriva dal mondo delle imprese abruzzesi del settore, cui ha dato voce una dura presa di posizione nazionale di CNA Federmoda, che per bocca del presidente Marco Landi ha contestato al governo di «aver colpevolmente dimenticato, nell’ampliamento delle attività che possono riaprire dal 14 aprile una delle punte di diamante del “made in Italy”».

Perché, questo l’atto di accusa, «le aziende che operano nella manifattura della moda italiana e che riempiono le passerelle e i negozi del mondo non sono comprese tra le filiere considerate strategiche per la ripresa, anche se contribuiscono a fare grande il sistema economico fatto di artigianato e PMI che crea ricchezza, occupazione, valore, esportazioni e partecipa in maniera sostanziale alla coesione sociale grazie al profondo radicamento territoriale».

In Abruzzo questo comparto, oltre all’eccellenza mondiale rappresentata dal marchio Brioni di Penne, a Pescara vanta un importante strumento di formazione con un Istituto Tecnico Superiore dedicato. Ma la storica roccaforte, rappresentata da decine e decine di piccole e vivacissime imprese ha mente, cuore e braccia nell’area teramana, territorio leader in cui arruola ben 1.840 imprese registrate, 1.535 delle quali attive, per 8.400 addetti. Dice il direttore della Cna provinciale, Gloriano Lanciotti, che è anche presidente della Camera di commercio: «In termini di export, l’ufficio studi del nostro ente camerale ci dice nel 2018 il comparto muoveva qualcosa come circa 53 milioni di euro per il tessile, oltre 77 per l’abbigliamento, quasi 103 per la pelletteria. Numeri importanti, che testimoniano la vitalità del comparto, ma anche il rischio connesso per tutta la nostra economia ad una sua rapida ripartenza. Una filiera che da sempre rappresenta una punta d’eccellenza per tutto l’Abruzzo del settore, visto che ne rappresenta oltre la metà: ma che ora deve essere sostenuta con decisioni che ne riavvino l’attività».

Carla Ripani, presidente regionale di CNA Federmoda è titolare di una prestigiosa azienda di pelletteria con sede a Tortoreto, ma vanta punti vendita perfino a Dubai. Ecco come sintetizza i problemi del settore: «Siamo al punto limite, come date, per lavorare sulle nostre prossime collezioni. Se non ci sarà offerta la possibilità di riaprire subito, un mare di opportunità andrà perduto. Resteranno invece in piedi i pagamenti: i nostri fornitori li esigono subito, mentre al contrario quelli che noi forniamo chiedono dilazioni, e sinceramente è difficile non accogliere le loro richieste. Insomma, paghiamo adesso, incassiamo a Natale se tutto va bene». Il paradosso, dice ancora Carla Ripani – 25 dipendenti diretti, senza contare la cinquantina di addetti che lavorano nell’indotto – è che lei, come altri, sarebbe nella condizione di riprendere subito l’attività. Anche e soprattutto sotto il profilo della sicurezza: «Ho un capannone di 3.200 metri quadrati, e dunque la superficie media per ciascuno dei miei dipendenti è di 120 metri quadrati. Quanto basta, direi, per produrre in condizioni di assoluta sicurezza sanitaria».

Giovanni Di Michele, presidente dell’Its Moda pescarese aggiunge altre considerazioni: «Le lezioni con i nostri allievi proseguono nella modalità online, e questo permetterà all’attività didattica di proseguire per fortuna regolarmente».

Poi, da imprenditore con una avviata azienda di pelletteria a Mosciano Sant’Angelo, aggiunge: «Nel nostro territorio ha preso corpo un importate consorzio di eccellenze artigiane, Atea, che punta con forza le sue carte su e-commerce ed export. Un distretto che mette assieme qualcosa come 55 aziende del comparto della moda, dal tessile-abbigliamento alla pelletteria. Dobbiamo fare i conti con una situazione difficilissima, con problemi tanto delle imprese che producono in proprio, quanto dei “contoterzisti” che invece lavorano per le grandi firme. Le prime hanno in pratica buttato già a mare la stagione primavera-estate 2020, ma adesso – se non si riapre subito – si corre il rischio di far saltare anche quella invernale 2020-2021. E questo non ce lo possiamo permettere. E le imprese che lavorano invece per i grandi marchi, “in conto terzi” sono già state messe di fronte a un calo della produzione del 30-40%». Eppure, dice ancora Di Michele, in fondo al tunnel pure di intravvede la luce: «I segnali che arrivano dal mercato cinese, dopo la riapertura, sono confortanti, ci segnalano una ripresa degli ordini consistente: l’importante è non lasciarsi sfuggire questa opportunità, che solo riaprendo al più presto saremo in grado di cogliere».

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