PESCARA – Durante il lockdown molti aspetti della vita lavorativa e della vita privata hanno subito cambiamenti decisamente rilevanti: stress e fatica fisica e psichica – dove le donne hanno pagato il prezzo più alto – rischio di burnout, necessità di una leadership e di una efficacia manageriale più cogente, sono solo alcuni dei dati rilevati dall’indagine psico-sociologica realizzata da Confindustria Chieti Pescara nell’ambito delle attività per la ripartenza delle imprese.
Lo studio nasce con il chiaro intento di monitorare il benessere dei lavoratori e l’eventuale esposizione a rischi psicosociali dovuti ai cambiamenti prodotti dal Covid-19.
“Questa indagine entra nel cuore delle attività con l’intento di monitorare il benessere dei lavoratori e l’eventuale esposizione a rischi psicosociali dovuti ai cambiamenti prodotti dall’emergenza Covid”, spiega il presidente dell’Associazione degli industriali Silvano Pagliuca, “abbiamo costituito un gruppo tecnico-scientifico composto da professionisti di comprovata esperienza e coordinato dal Direttore Generale Luigi Di Giosaffatte. L’equipe, che resterà a disposizione delle aziende del territorio fino a quando la situazione legata all’emergenza Covid-19 lo richiederà, è nata con l’intento di semplificare il più possibile l’accesso alle procedure legate alla riapertura e, nello stesso tempo, a salvaguardare la sicurezza e il benessere psico-fisico dei lavoratori e delle fasce più a rischio come le lavoratrici. E nello stesso tempo, sostenere la produttività delle aziende, il cui management, come si evince dallo studio, è all’altezza dei cambiamenti richiesti per far fronte al nuovo scenario dettato dall’emergenza”.
Il campione preso in considerazione si basa su 117 protocolli raccolti, il 59% uomini e il 41% donne. Hanno risposto al questionario principalmente imprenditori (26.5%), impiegati amministrativi (21.4%), tecnici (12.8%), direttori del personale (4.3%) provenienti dal settore meccanico, dal terziario, dal settore servizi innovativi, edilizia, agroalimentare, moda, energia, chimica e ambiente.
“Abbiamo osservato e verificato una situazione di cambiamento e di incertezza, al fine di individuare gli elementi di rischio da attenzionare e di proporre interventi e best practice a supporto delle imprese”, spiega il gruppo di ricerca socio-psicologico composto dai docenti universitari Maria Elisa Maiolo e Galliano Cocco, “le aziende associate hanno offerto la loro collaborazione compilando un questionario anonimo, in formato digitale, composto da una breve scheda socio-anagrafica e un protocollo costituito da 30 affermazioni ricavate dalla più moderna letteratura scientifica in materia”.
Dallo studio si evince come gli imprenditori e i direttori delle risorse umane abbiano medie più alte in termini di fiducia organizzativa, percezione di autoefficacia, gestione del cambiamento, relazioni interpersonali e leadership. Chi ricopre ruoli amministrativi sente di poter gestire compiti complessi a detta dei propri supervisor e percepisce una buona autoefficacia lavorativa. Di contro, chi riveste il ruolo di tecnico o di operaio percepisce maggiori difficoltà nella conciliazione vita-lavoro, percepisce maggiori richieste lavorative, mostra livelli più alti di cinismo, e più alti livelli di malessere psicologico.
L’indagine mette in evidenza come chi ha lavorato in smart working abbia avuto maggiori difficoltà a gestire il conflitto lavoro-vita privata rispetto a chi è rimasto all’interno dell’azienda. E le donne hanno pagato lo scotto peggiore nel cercare un faticoso equilibrio tra esigenze familiari, ad esempio figli in età scolare, e lavorative. Potrebbe essere importante offrire servizi come welfare aziendale o voucher baby-sitter, per evitare che si ritrovino più facilmente escluse dal mercato del lavoro e in condizioni di Work-Life Conflict.
Lo smart working infatti, se da un lato facilita la produttività perché permette di poter operare in ogni situazione, dall’altro rischia di innestare nuove forme di stress e burnout, una forma di “surriscaldamento” che determina un logorio psicofisico ed emotivo. Le cause, da arginare il più possibile, riguardano sia i dipendenti che gli imprenditori. Per i lavoratori, i maggiori problemi sono la reperibilità continua e il rischio che il lavoro si sovrapponga alla propria vita privata, le ore lavorative che aumentano, le scarse relazioni sociali esterne, l’isolamento, la mancanza di separazione tra ambiente lavorativo e domestico. Per l’azienda, i punti di sofferenza sono la necessità di una riorganizzazione dei processi aziendali, la difficoltà nella gestione dei lavoratori distanti, e poi una minore guida nel lavoro, la bassa interazione con il team e la crescita dei fattori di distrazione.
I dati raccolti, e confermati dalla letteratura scientifica, sottolineano come maggiori richieste lavorative, con particolari sovraccarichi emotivi, siano foriere di un generale malessere psicologico. Investire sulla gestione dello stress potrebbe essere particolarmente rilevante per il gruppo di operai e tecnici del campione preso in considerazione, che sono risultati più sottoposti a richieste e a incertezza. Investire sul contenimento dello stress significherebbe poter incrementare la produttività.
I risultati della letteratura evidenziano reazioni riscontrate nelle persone a causa del Covid-19 assimilabili agli effetti del Disturbo Post-Traumatico da Stress: paura, frustrazione, nervosismo, irritabilità, disturbi del sonno, confusione, noia, depressione, sentimenti di solitudine, rabbia e il ricorso a strategie disadattive di gestione del malessere come agiti impulsivi o abuso di alcol e sostanze. Di conseguenza, aiutare i lavoratori a gestire lo stress significherebbe contenere questi potenziali effetti negativi.
“Il Covid-19 è stato un cambiamento repentino e il nostro sistema, sia psicologico, economico, che organizzativo, non era pronto a gestirlo”, afferma il Direttore Generale di Confindustria Chieti Pescara Luigi Di Giosaffatte, “tuttavia, il cambiamento è l’unica certezza nell’era della società liquida e della complessità, e tutti dobbiamo imparare a fronteggiare il nuovo con resilienza, proattività, pensiero creativo, intelligenza emotiva e capacità di gestione dello stress. Le nuove organizzazioni dovranno sempre più fornire ai lavoratori competenze trasversali come supporto psicologico e motivazionale, senso di appartenenza al gruppo, lavoro di squadra, leadership potrebbero essere gli strumenti di riduzione e di contenimento dell’incertezza lavorativa. Il cambiamento possiamo subirlo, oppure possiamo considerarlo come un’occasione per cambiare senso di marcia, per ripristinare le condizioni a basso funzionamento e bassa produttività, e per introdurre nuovi modelli organizzativi e di gestione”.
I risultati dell’indagine mostrano come, laddove il supervisor creda che il lavoratore possa gestire compiti impegnativi, l’autoefficacia è più alta e le richieste più basse. In pratica, lavoro meglio, non percepisco il carico di lavoro e sento di avere gli strumenti per fronteggiare compiti complessi. Sebbene siamo in presenza di un campione costituito da un management in grado di cogliere, affrontare e gestire il cambiamento, questo dato poi non si riscontra ai livelli inferiori. Pertanto, nell’ottica di potenziare la produttività e il benessere aziendale, da settembre Confindustria Chieti Pescara intende avviare, tra gli altri, dei percorsi di empowering leadership: quando i supervisori incoraggiano i collaboratori la scienza ci dimostra che il clima aziendale migliora e persone felici vivono più in salute e lavorano meglio.
“Un buon leader può influenzare una serie di variabili che producono effetti sul raggiungimento degli obiettivi aziendali e sulla soddisfazione dei collaboratori”, conclude Di Giosaffatte, “nondimeno, è fondamentale investire anche sul potenziamento del team working: i dati dell’indagine infatti, mostrano come il supporto dei colleghi sia un predittore in grado di ridurre il malessere psicologico”.
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