ROCCAMORICE (PE) – L’Opinionista incontra Daniela D’Alimonte, giornalista, docente di lettere e scrittrice, che ha pubblicato di recente una raccolta di liriche dal titolo “La geometria del tempo”.
Ben trovata, carissima Daniela: qual è la tua geometria del tempo?
“Ciao Ilaria, sono contenta di una intervista, serve a fare riflettere, a scoprire noi stessi e poi fa sentire importanti! Qual è la mia geometria del tempo, bella domanda, io ancora non so qual è, cerco di definirla ma il suo disegno ancora mi sfugge. Questo titolo nasce dalla idea che ogni tempo della vita è in relazione ad uno spazio ed anzi non può esistere senza di esso, in senso assoluto. Un po’ come il concetto dell’hic et nunc. Un sentimento, un amore, una gioia nascono sempre in un momento che non è avulso da uno spazio e non sarebbero nate in quel modo senza quello spazio. Il tempo, credo, è concepibile solo se messo in relazione con altre categorie. Ad esempio Bergson parlava di un sentimento del tempo ovvero dell’idea di tempo che è il sentimento che noi abbiamo di quel tempo e che quindi è qualcosa di soggettivo, che cambia da persona a persona. Ma il tempo per me cambia anche in relazione con lo spazio, il luogo; l’idea del tempo che ho io ad esempio in un dato posto è diversa da quella che avrà un’altra persona in un altro spazio. Il tempo ha una forma, ovvero, assume forme diverse a seconda di dove lo stiamo vivendo, ecco perché una geometria. Poi a questo concetto è connessa anche l’idea di disegnare il mio tempo, di definirlo nello spazio come si fa con una figura, di ricavare dal suo scorrere regole e calcoli universali”.
Poetare è un dono innato, quindi di per sé ricevuto, e poetare ci consente di donare agli altri, attraverso quello che creiamo: in che modo la poesia può essere d’aiuto all’anima, soprattutto alla luce dei disastrosi eventi che ci colpiscono ormai quasi a cadenza quotidiana?
“Credo davvero che la poesia sia un dono quasi divino. A noi umani ci è dato scendere negli precipizi della nostra anima e di scovare la poesia che vi si nasconde. Nel Porto sepolto di Ungaretti il poeta scende negli abissi e risale con quel nulla di inesauribile segreto. É una meraviglia, la poesia che nasce quasi per magia, per incantesimo. É una alchimia, l’alchimia delle parole per parafrasare Rimbaud. Io no so se davvero con la poesia doniamo qualcosa agli altri o a noi stessi; io quando scrivo scandaglio le mie profondità, anche quelle più remote e segrete, e non penso agli altri anzi, provo imbarazzo se immagino che possano leggere ciò che scrivo. Poi però chi legge la mia poesia mi dice che “ci si ritrova”, trova se stesso, le stesse paure, le stesse sensazioni. Questo perché quando scrivendo si è autentici, si arriva poi anche al cuore degli altri, siamo umani. Siamo tutti così tremendamente umani alla fine e ce ne accorgiamo di fronte alla poesia. Io credo che la poesia sia la bellezza, e in tal senso credo nella sua forza salvifica, io sono convinta che la bellezza salvi, dal quotidiano dalla paura, dal mal di vivere, dal nostro essere così terreni e invischiati nelle piccole cose. La poesia salva con la sua bellezza”.
Con questa tua opera, che è appunto una raccolta di liriche e che si intitola La geometria del tempo, edizione Tabula Fati, ti discosti completamente dal tuo genere letterario: nasci infatti come cultrice della lingua italiana e studiosa della parlata abruzzese, anche alla luce della tua professione di docente di lettere e di giornalista… Come mai, ad un certo punto, questo viraggio? Sentivi forse dentro la necessità di rifugiarti all’interno di una dimensione che fosse, come dire, più intima, come la poesia?
“In realtà io scrivevo da tempo le poesie ma tenevo tutto dentro il cassetto come si suol dire, anzi non credevo di pubblicare mai le mie cose; le scrivevo perché dovevo scriverle per me, perché era qualcosa di vitale, anzi nascevano da sole, questo l’ho sempre detto. Erano già lì dentro di me, nelle mie mani, bastava che appoggiassi la penna sul foglio. Ho scritto queste mie composizioni quando dovevano essere scritte, quando volevano esse che fossero scritte, non me le so sono mai imposta. Guai imporsi di essere poeta, verrebbero fuori schifezze. Esse sono nate in un periodo particolare della mia vita, in un periodo di cambiamenti enormi, tra cui anche l’inizio della carriera di professore, in una città come Roma e in un momento di mancanze, enormi mancanze, di solitudini profonde per la perdita dei miei genitori, in particolare di mio padre che era per me un punto di riferimento. Ho dunque scritto tutte queste poesie in passato e le ho lasciate da parte per tanti anni; un giorno, nel 2013, parlando con Vito Moretti che è uno dei più grandi poeti abruzzesi e italiani e al quale sono legata da profonda amicizia, mi chiese se avevo mai scritto poesie, io gli dissi la verità e lui mi invitò a fargliele leggere. Impiegai un mese prima di mandargliele perché mai avrei pensato che qualcosa di mio potesse essere condiviso con altri. Poi mi decisi e dopo una settimana mi rispose con una prima bozza per la stampa, una prefazione e mi disse che già aveva parlato con l’editore Solfanelli perché si pubblicasse. Ed ecco come è andata. Io in realtà mi sento ancora e soprattutto una studiosa, una saggista, però la poesia si è insinuata come una necessità, un bisogno salvifico in un determinato momento. Ora continuo a scrivere anche spronata da Moretti ma cerco di non impormelo mai. La poesia deve nascere da sola. Ci sono volte che attendo anche ore e non arriva, altre volte invece compare come è comparsa poco tempo fa quella che ti ho lasciato a fine intervista”.
La poesia è un protendere dell’anima verso l’infinito?
“Io sento la poesia come una introspezione, una esplorazione del proprio animo, un entrare dentro se stessi e studiarsi. I poeti dello Stilnovo, e ancora prima quelli della Scuola siciliana, avevano sostanzialmente una teoria che assomiglia un poco a questa. Loro dicevano che l’innamoramento avveniva attraverso lo sguardo. Guardandosi negli occhi, si riusciva ad arrivare al cuore, gli occhi penetravano in quelli dell’innamorato attraverso lo sguardo e si dirigevano al cuore e lì sceglievano di risiedere facendo nascere l’amore per quella persona. Il collegamento occhi-cuore , è un concetto filosofico assai suggestivo per me. Io penso che la poesia sia un rivolgere lo sguardo dentro di sé, portare gli occhi nel proprio cuore e osservare tutto ciò che dentro vi si conserva e poi scoprire, magari, anche che l’infinito ognuno lo ha dentro se stesso”.
C’è un momento della tua giornata in cui la tua poesia, per così dire, viene a trovarti?
“Devo dirti che tutte le mie poesie sono nate e continuano a nascere di sera, ma non perché decido io che sia così, è proprio che la sera è come se sentissi bussare al cuore, se mi si chiedesse di chiudere la giornata con un pensiero, uno sguardo rivolto a me; credo che chiudere la giornata con la poesia ristori l’anima, è quasi un augurio per il giorno successivo, una speranza che dopo ci sia lei a salvare il mondo, che, nonostante quello che nel giorno abbiamo dovuto vivere, c’è lei. Io sono davvero convinta che la poesia salvi il mondo e gli esseri umani”.
Ti chiedo a questo punto di chiudere questo nostro conversare con una tua lirica….
“Ti invio una mia composizione inedita, che, devo dirti, mi fa molta tenerezza, nel senso che quando la leggo quasi mi commuovo. Un giorno la lessi ad un incontro di poesia e fui sorpresa di notare che anche un signore dal pubblico si emozionò e mi chiese di donargliela. Siamo tutti alla fine tremendamente umani”.
QUESTO TEMPO CHE PASSA
Se poi mi insegnassi a capire
questo tempo che passa,
il senso dell’esserci
e del dirsi,
il ricatto degli occhi,
io tesserei finalmente
trame serene di gesti,
palpiti di cuori incantati,
lievi speranze celate
e un raggio di sole al tramonto.
Daniela D’Alimonte