CHIETI – Adeguare gli organici degli infermieri e del personale di supporto, attivare l’annunciata unità operativa a direzione infermieristica e modificare le modalità di presa in carico dei pazienti, sia in ospedale sia sul territorio, per prevenire il sovraffollamento dei reparti: è quanto chiede alla Asl Lanciano Vasto Chieti l’Ordine provinciale Ipasvi, la federazione che tutela gli infermieri e ne tiene l’albo professionale.
«Nei giorni scorsi – commenta il presidente dell’Ipasvi di Chieti, Giancarlo Cicolini – abbiamo appreso dell’imminente apertura nell’Ospedale di Chieti di una nuova unità operativa di degenza con 20 posti letto di Medicina. Ma con quali risorse? Quante unità infermieristiche e di supporto saranno assunte? I cittadini hanno bisogno di assistenza, non di nuovi reparti con personale inadeguato. Saremmo punto e a capo. Non sarà stata un’occasione per non avviare l’annunciata unità operativa a direzione infermieristica e per trasformarla in un’ulteriore unità operativa a direzione medica? Ci auguriamo che tale investimento sia supportato da standard di infermieri e personale di supporto idonei a garanzia di un’assistenza adeguata e sicura».
«Anche quest’anno – aggiunge Cicolini – le unità operative di Medicina a Chieti sono strapiene, a causa dei picchi di influenza dei pazienti. Come al solito, sono spuntate le solite barelle nei corridoi. Se il problema si ripete tutti gli anni, vuol dire che si tratta di situazioni tutt’altro che eccezionali, prevenibili e non più giustificabili. A sostenere l’aumento di attività in questi periodi sono gli operatori sanitari, in primo luogo gli infermieri, già sotto organico nei momenti di “normalità”. Questo comporta rischi per la qualità delle cure: il rapporto infermiere/paziente deve essere di sei pazienti per ogni infermiere; secondo le evidenze scientifiche, a ogni aumento di unità per infermiere la probabilità di morte del paziente aumenta del 7%. Valori già superati in condizioni di “normalità” e che superano l’inverosimile in caso di sovraffollamento. La consistente riduzione dei posti letto – prosegue Cicolini – e, in particolare, la mancata attivazione di alcune alternative valide sul territorio, come potrebbero essere gli infermieri di comunità, inevitabilmente portano ad accogliere pazienti in soprannumero rispetto alle reali disponibilità. La temporanea sistemazione in barella, giustificata dal criterio della “eccezionalità”, non garantisce standard di sicurezza e di accoglienza minimi: vengono meno il rispetto della normativa sulla sicurezza, degli standard di dotazione dell’unità di ricovero, il rispetto della normativa della privacy con una grave difficoltà a garantire un’adeguata assistenza medico-infermieristica, non solo perché il numero degli operatori viene distribuito su un maggiore numero di degenti, ma anche perché la sistemazione in barella rende molto più difficoltosa la prestazione sanitaria soprattutto per le manovre di urgenza ed emergenza».
Strettamente correlato al problema delle cure mancate è il demansionamento degli infermieri. «Un alto numero di professionisti – secondo Cicolini – esegue prestazioni sottodimensionate rispetto ai loro percorsi formativi e alle loro competenze, impiegando molto tempo in attività a basso impatto. Ma sembra che tutti abbiano altri interessi, non quelli dei pazienti che, ad oggi, sono tutelati solo dalla abnegazione degli operatori sanitari».
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