Chieti

La Festa del Majo a Torrevecchia Teatina

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La Compagnia Tradizioni Teatine – Cumbagnijǝ d’Ausanzǝ Cchijetinǝ ha ripresentato la festa domenica primo maggio

TORREVECCHIA TEATINA (CH) – La Compagnia Tradizioni Teatine – Cumbagnijǝ d’Ausanzǝ Cchijetinǝ ha ripresentato la festa del Majo, (magico), domenica primo maggio 2016, a Torrevecchia Teatina CH. La rievocazione della Festa del Majo, festa di origini antiche e pagane, vuole promuovere la continuità tra la comunità umana e il suo passato, riscoprire il legame che lega l’uomo alla natura, evidenziato da questi riti di rigenerazione e il ritorno ciclico della vita – morte –rinascita. Questo simbolismo culturale è sempre attuale, perché rappresenta le radici stesse della nostra civiltà. Infatti, la scelta del colore verde ed i vari tipi di fiori, ad iniziare dal maggiociondolo, si associano alla natura.

I Romani festeggiavano i Floralia, (i giochi celebrati nell’antica Roma, risalenti al 238 a.C. per onorare la Dea Flora protettrice dei boccioli), tra il 27 aprile e il 3 maggio, versando latte e miele, come offerta, ed indossando tuniche multicolori. Anche nel Nord Europa si celebravano feste come le notti di Walpurga, il Verde Giorgio nell’Europa dell’Est ed il Majo in Italia. La società agro-pastorale dava un duplice valore a queste feste: quello simbolico che raffigura il passaggio primaverile e quello sociale che riproduce il senso della fatica nei campi, dalle origini tribali.

La festa del Majo è iniziata con il rito di propiziazione e di fecondità della natura, in un ambiente idoneo. Il quadro rituale, un tappeto allestito sul terreno, era composto da prodotti naturali, fondamentali per l’economia e per la concimazione, Il miele, il latte e il farro. Una sacerdotessa ha evidenziato con meditazioni, i quattro elementi magici della natura, l’acqua, il fuoco, la terra e l’aria. Il cerimoniale è stato accompagnato dal suono del DIDJERIDOO, un antico strumento a fiato il cui suono viene prodotto attraverso una imboccatura ad ancia labiale, risalente agli aborigeni australiani. E’ un pezzo di legno cavo, meglio di eucalipto, con l’aggiunta di un bocchino in cera d’api. La lunghezza ed il diametro dello strumento musicale, determinano la nota base, la vibrazione. L’attuale strumento musicale emetteva il “fa diesis”, un suono vibrante, armonioso, meditativo. La lunghezza circa un metro e mezzo ed il diametro di circa 4 centimetri.

L’altro strumento, il Flauto ANTARA (Flauto di Pan), utilizzato negli altopiani andini del Perù, è costituito da più canne, di lunghezza diversa e legate o unite tra loro. Il suono rilassante è stato idoneo alla riconciliazione ed il rispetto della natura.

Si è unito agli strumenti un coro naturale, il cinguettio gioioso degli uccelli. Il cerchio magico si è sciolto dopo il ballo della quadriglia.

Il Majo, l’oggetto di culto della natura, è rappresentato da un giovane maschio che indossa un alto cappello conico, (realizzato con un’intelaiatura di canna, coperto di paglia e da mazzetti di fiori). Majo (Maggio), proviene dalla dea Maja, la madre di Mercurio che simboleggia la Terra. Anche la catena montuosa della Majella nasce dal nome della dea. Una leggenda racconta che il figlio Mercurio morì a Pennapiedimonte CH, per le molte ferite provocate durante una guerra. La dea Maja si era recata in questo paese per trovare delle erbe medicamentose che dovevano guarire il figlio. Però non le trovò perché c’era la neve e quindi Mercurio morì. Anche lei morì di crepacuore e Giove, il padre di Mercurio, per tramandare questa storia, fece fiorire una pianta con dei bellissimi fiori gialli a grappolo, il maggiociondolo, che nasce nel mese di Maggio. La rappresentazione di questa leggenda si può vedere a Pennapiedimonte CH, con la bellissima roccia che rappresenta la dea in ginocchio e con lo sguardo rivolto verso il sepolcro di Mercurio. La scena è impreziosita dalla Valle dell’Avello.

Il canto pantomimico associato al Majo è il Canto dei Mesi, (mesciarule, mascherata dei mesi). La rappresentazione scenica, con uomini e donne che hanno continuato ad adornarsi con virgulti vegetali e fiori, come i loro antenati romani, è una danza, affidata esclusivamente all’azione mimica dei partecipanti, accompagnata da musica e da voci. Ogni mese è rappresentato da un figurante che è invitato a ballare da un tredicesimo partecipante, che rappresenta l’anno. Tutti i mesi hanno dei simboli che differenziano il mese che rappresentano.

Anche Il ballo del Palo di Majo ha una sua logica rappresentazione. Prevede un intreccio di nastri intorno ad un palo centrale che rappresenta un fallo fiorito, un albero, con i germogli primaverili della vegetazione che risorge. Simboleggia la congiunzione tra cielo e terra. I ballerini operano una funzione magica uguale e contraria, il legare e lo slegare serve a prevedere l’andamento della stagione, del raccolto, della vita e della fecondità delle coppie. Ultima rappresentazione, la pantomimica del Verde Giorgio. Il cerimoniale si è concluso con il rogo del fantoccio del Majo, gesto rituale che ricorda il sacrificio umano o animale finalizzato alla fertilizzazione della terra, con le sue ceneri.

Il cibo magico, rituale, tradizionale, del Majo, è il ” Lessagne Chietine “, una specie di minestra con NOVE ingredienti di legumi, NOVE di verdure, NOVE di erbe aromatiche. Un piatto laborioso che impegna molto tempo. Il NOVE è il numero sacro per eccellenza e rivela un valore germinativo e di speranza.

Il “Lessagne Chietine” univa l’esigenza del gusto con il risparmio che anticamente era obbligatorio, vista la carenza di risorse. Per indicare questa zuppa magica ci sono quattro termini, lessame, lessagne, cutemaje e totemaje. Il prefisso “lessa” di lessame e lessagne, propone il modo di cottura ed il suffisso “maje” di cutemaje e totemaje, individua il mese di maggio. Gli ingredienti della zuppa tipicamente “marrucina”, una zuppa di magro, che si presenta come una minestra di colore verde, sono i semi che germogliano la terra.

I nove tipi di legumi sono: fagioli, ceci, farro, lenticchie, fave, piselli, cicerchia, granoturco, grano.

I nove tipi di ortaggi, meglio se di campo e secondo la disponibilità del momento, sono: Bieta, cicoria, borraggine, indivia, carote, cacigni, spinaci, lattuga, zucchine.
I nove odori sono: finocchietto, sedano, prezzemolo, salvia, alloro, cipolla, pipirella (è una specie di timo molto profumato, non deve mancare), maggiorana, origano.

Inoltre nove peperoncini piccanti, nove spicchi di aglio, osso di prosciutto per il brodo, cotiche, olio e sale.

Il significato della ripresa delle tradizioni, patrimonio indispensabile della cultura, ha valore solo se si comprende e ci si riappropria dell’universalità delle Tradizioni stesse e se il tutto viene eseguito nel rispetto del loro contenuto simbolico. In un’epoca di eliminazione dell’identità e della consapevolezza, in cui i giovani spesso sono vittime di un consumismo vuoto e di valori devastanti, è significativo ripetere e rinnovare la tradizione orale, che ha permesso alla società del passato di tramandare l’esperienza, le usanze e le conoscenze di generazione in generazione. La tradizione continua a resistere ai cambiamenti di una società frenetica e distratta, non può essere innovativa, né può essere una sagra consumistica!

(a cura di Luciano Pellegrini)

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