L'Aquila

L’Aquila, quelle di Sant’Anna per racconti in quarantena

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L’AQUILA – Il giovane ricco le aveva sconvolto l’anima. Improvvisamente le si aprirono gli occhi e l’orizzonte divenne sconfinato, più di quello che aveva davanti, spalancando la finestra della sua casa a Belvedere, disteso, da basso, con una vertigine da perdimento, oltre la strada per Roma. Aveva aperto il Vangelo a caso, come faceva spesso per bere qualche goccia di spiritualità. Ne usciva rinfrancata e proseguiva le mansioni del giorno, tra studio e faccende di casa, senza scotimenti di sorta. Lei del resto non aveva problemi, né sul piano della fede (la sua famiglia era molto pia) né su quello sociale (era benestante, con un padre ingegnere affermato e una madre di alto lignaggio).

Era l’ultima di dodici figli e la più coccolata. Davanti a sé aveva un avvenire tranquillo, da dipanare nella normalità di stagioni senza problemi di sorta. Era molto religiosa, questo sì, dedica alle pratiche di pietà con un trasporto magari singolare, ma niente di più. Anche sua madre lo era stata sin da piccola e lo era ancora, da ritrovarsi immersa in opere di carità verso i bisognosi. Maria probabilmente avrebbe avuto davanti un identico avvenire: sposa e madre e dedizione alle opere di bene. Ma qualcosa dentro la frenava. Un’ansia misteriosa da magone, l’attesa inspiegabile dell’ignoto. Era attorno ai trent’anni e nessun impegno sul piano sentimentale. E sì che di pretendenti ne avrebbe avuti a bizzeffe, solo se un po’ fosse stata come le altre giovani di buona famiglia del tempo, intente a confezionare corredi aspettando un marito di riguardo.

Lei vestiva di nero, adulta prima del tempo. La gonna gonfia di crinolina leggera, il corpetto stretto in vita come le donne di Scanno e chiuso al collo con merletto bianco, i capelli divisi al mezzo e raccolti in cerchio da una treccia. Sguardo penetrante e sereno, come se mai nube giungesse ad offuscarlo. Finché accadde l’irreparabile, secondo il sentire del mondo. Aprì dunque il Vangelo e lesse del giovane ricco che si presentò un giorno davanti al Nazareno: “Signore, che devo fare per ottenere la vita eterna?” “Osserva i comandamenti” gli rispose Gesù. “Li ho sempre osservati”, fece di rimando il giovane, forsanche compiaciuto. E Gesù: “Allora, se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai, danne il ricavato ai poveri e poi vieni e seguimi”. Una proposta, un programma, che al giovane parvero ostacolo insormontabile. Non se la sentiva di rinunciare a tutto. E allora abbassò gli occhi per non incrociare più quelli di Cristo, voltò le spalle e se ne andò deluso, senza ascoltare il commento di Gesù agli apostoli: “Quanto è difficile per un ricco entrare nel regno dei cieli. E’ assai più facile che un cammello passi per la cruna di un ago”. Non era la condanna della ricchezza, ma la dichiarazione della povertà come privilegio e della ricchezza come cosa da restituire ai poveri che ne furono espropriati.

Maria incominciò a dedicarsi subito ai bisognosi, senza sapere ancora quale fosse la sua strada. S’era intorno alla metà del secolo decimonono, nella pienezza dei moti rivoluzionari e anticlericali che costrinsero il Vescovo dell’Aquila Mons. Filippi all’esilio. Quando tornò trovò una realtà sociale in grave degrado. Ragazze di strada da recuperare. Una situazione sanitaria che escludeva i poveri, bambini abbandonati. Intuendone le grandi potenzialità, Filippi chiese aiuto a Maria Ferrari assegnandole la direzione della Pia Casa Sant’Anna per il recupero delle disagiate. Arrivarono le prime compagne, signorine di buona famiglia come lei desiderose di votarsi al bene altrui.

Nasceva a L’Aquila la prima forma di volontariato, prendeva vita la prima assistenza sanitaria domiciliare. Non c’era via, non c’era vicolo della città e della periferia più abbandonata che non fosse battuto da quelle pie donne, parche di cibo e di sonno e votate completamente agli altri, in gesti d’amore sconfinato. “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi avete vestito, malato, carcerato e siete venuti a trovarmi…” “Ogni volta che avete fatto questo agli ultimi del mondo, lo avete fatto a me”. “E’ sull’amore che sarete giudicati”.

Le pie donne conducevano vita religiosa senza essere consacrate ancora. Alla morte della madre di Maria, si trasferiscono a Belvedere, nella casa ereditata dalla fondatrice. Hanno la consolazione di poter custodire in una cappelletta le specie Eucaristiche davanti alle quali sostano in preghiera nel tempo libero che lascia loro la carità. Consumata dalle fatiche, dopo tre anni di infermità, Maria Ferrari si spense a 72 anni, senza che il suo Istituto avesse avuto riconoscimento alcuno. Era l’undici febbraio del 1896, festa della Madonna di Lourdes che da allora le Suore Ferrari celebreranno con solennità insieme a quella del Sacro Cuore cui è dedicato l’Istituto, che entrerà ufficialmente nella Chiesa solo nel 1918. Due anni fa le Figlie di Maria Ferrari hanno celebrato il loro primo centenario. Sparse in tutto il mondo, le Suore Zelatrici del Sacro Cuore – questo il loro nome per esteso – continuano a testimoniare la potenza dello spendersi per gli altri in gratuità, concretizzando quello che fu il suo programma racchiuso in un motto di grande suggestione: “Tutto per amore”.

A cura di Mario Narducci

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