Il “pastorello” dotato di una straordinaria memoria e di una geniale mente matematica. Era nato a Gessopalena nel 1810
GESSOPALENA – Nobile Daniele nacque a Gessopalena (“Università del Gesso”) in provincia di Chieti, l’11 marzo del 1810, da Berardino Daniele (ventisettenne “tinaro” figlio di Nobile e Maria Innaurato) e da Giuseppa Lannutti (ventitreenne figlia di Biase e Marta Fanella).Testimoni dell’atto di nascita furono Giacinto De Horatiis e Francescantonio De Libberato. I suoi genitori si erano sposati il 4 marzo del 1809. Di lui ebbero a scrivere, tra gli altri, lo storico e giornalista Raffaele de Cesare e l’antropologo Vincenzo Giuffrida Ruggeri. Di Nobile Daniele si parlò come di un vero fenomeno, certamente rarissimo e probabilmente unico. Il padre e la madre già da piccolo, aveva cinque anni, lo mandavano a pascolare le pecore. Ma iniziava a trasparire in un lui una straordinaria capacità mnemonica e di lì a poco un’altrettanto eccezionale propensione matematica. All’inizio furono le pecore, i sassi, i fiori e di notte le stelle che utilizzò per esercitarsi al calcolo.
Poi un parroco di Gessopalena, accortosi della sua dote, gli regalò un piccolo “abaco” e per Nobile fu il definitivo realizzarsi. La facilità nel fare di conto a memoria divenne una specie di simpatica attrazione per la intera piccola comunità di Gessopalena. Questo destò l’interesse dell’avvocato Giovanni Persiani che a sua volta segnalò il ragazzo al Prefetto di Chieti Ferdinando Gaetani dei Duchi di Laurenzana. Il Prefetto rimase stupefatto dalle doti del piccolo pastorello e gli concesse di entrare, con retta pagata dallo Stato, nel Reale Collegio teatino. Era il 1818. Qui conobbe ed ebbe come insegnante Padre Aquila (valentissimo professore di scienze filosofiche e matematiche) che lo avviò alle più svariate letture.
In breve Nobile , dal suo ingresso in collegio, imparò a memoria tanto quanto nessun uomo avrebbe mai potuto. Recitava la intera Divina Commedia senza commettere alcun errore; ripeteva brani classici dopo averli letti anche una sola volta e memorizzò perfettamente un dizionario di italiano-latino. Anche a Chieti, ben presto, le sue capacità divennero note e sottoposte all’attenzione di tutti. Poi mentre Daniele era ancora in Collegio (vi svolgeva mansioni di usciere), Ferdinando II di Borbone visitò Chieti (probabilmente nel settembre del 1832 ma vi tornò poi, sicuramente, nel 1847) e, nell’occasione, venne a sapere di un giovane con una memoria portentosa e la cui virtù assai singolare stava nel rispondere prontamente e senza riflessione alcuna e con mirabile precisione a tutti i quesiti più difficili di aritmetica.
Allora Ferdinando II di Borbone lo volle incontrare. Ed ecco il resoconto, fatto da Vincenzo Giuffrida Ruggeri su indicazioni tratte da un libro di Raffaele de Cesare, di quell’incontro: “ Ferdinando II di Borbone gli mosse varie domande, ed ebbe pronte risposte, verificate esattissime. Allora volle fargliene anch’egli una, che formulò cosi ”Io nacqui nel giorno tale dell’anno tale, alla tale ora, e fino a questo momento (cavando l’orologio e notando i minuti primi e i secondi) quanti anni, mesi, giorni, ore, minuti primi e secondi ho vissuto ?”. E il Nobile prontamente rispose; e le cifre furono raccolte e sottoposte a riprova dagli ufficiali che accompagnavano il Re.
La prova però non riuscì, essendosi verificato che le cifre, date dal Nobile, erano di molto superiori alle vere. Egli spalancò gli occhi, contrasse la bocca e parve impazzasse. Il Re ne ebbe pietà e lo rincuorò dicendogli: “Ripensa bene”. Egli tacque per pochi istanti, tenendo gli occhi fissi sui numeri scritti dagli ufficiali. Ad un tratto ruppe in un urlo di gioia e, balbettando, esclamò ”Voi, voi non avete calcolati gli anni bisestili, con le differenze delle ore”. Gli ufficiali rifecero i calcoli e riconobbero che Nobile aveva ragione. Il Re allora gli concesse sei ducati al mese “vita natural durante”. In quegli anni Nobile Daniele ebbe l’occasione di conoscere e divenire amico di Angelo Camillo De Meis grande patriota e filosofo. Una volta lasciato il Collegio l’ex pastorello fece, questo secondo il De Cesare, il maestro in forma privata.
Nel 1859 scrisse un poemetto “La Scuola di …” edito da tipi di Quintino Scalpelli di Chieti nel quale raccontò le sue gioie e le sue sofferenze. Ma le sue condizioni economiche rasentavano la miseria e fu allora che, per intercessione di un notabile locale, venne assunto come bidello della Biblioteca provinciale dove rimase fino al suo pensionamento. Successivamente si diede alla vendita di bigiotteria. Sempre legato alla Chiesa, si offrì di andare nelle varie famiglie a ricordare i giorni delle festività religiose e delle vigilie di rigore. Nobile Daniele fu affetto da una pronunciata balbuzie, era di piccola statura e non si sposò mai. Il 28 luglio del 1884, alle ore 11.30, morì nell’Ospedale di Chieti in via della Piazzetta. L’atto di morte fu registrato dinanzi all’Assessore Avv. Nicola De Horatiis. Va detto che l’antropologo Vincenzo Giuffrida Ruggeri, pur riconoscendogli l’assoluto primato in memoria e calcolo arrivando ad affermare “nessuno mai come lui”, si lasciò andare a considerazioni negative sulle restanti condizioni mentali del Daniele. In realtà è assai probabile che egli fosse affetto da una forma di autismo.
Foto: “Pastorello abruzzese” di Filippo Palizzi
A cura di Geremia Mancini – presidente onorario “Ambasciatori della fame”