OVINDOLI (AQ) – C’è di tutto: il relax riflessivo dello Yoga e la selvatichezza tipica di una location naturale quale la montagna ovindolese. Allo scoccare del secondo Ovindoli Mountain Festival, il Monte Magnola non è stato solo sport estremo, ma anche qualcosa di più. Alla (ri)scoperta del leggendario legame uomo-natura sulla neve.
Il freddo è solo una condizione dell’anima. Yoga all’interno; wild all’esterno: alla seconda edizione del Festival della Montagna d’Abruzzo, il contenuto balsamico dell’animo umano, quale la riflessione meditativa, ha convissuto con una cornice hard e mozzafiato, i pennacchi rocciosi delle vette più alte di Ovindoli. Rapire il cuore buono del sole attraverso la forza interiore che dallo spirito trascorre alle mani, agli occhi ed alle estremità corporee esposte al vento esterno. Lo yoga, cioè, cambia connotazione e, soprattutto location, tirando fuori i suoi artigli più pungenti e selvaggi. Non c’è religione antica che tenga più di questa: quella, cioè, di rispettare sé stessi, la propria interiorità e soprattutto i propri bisogni spirituali connessi ad un corpo che, a volte, grida ascolto anche se non lo sa.
È stata l’associazione ‘Abruzzo Mountains Wild’, partner di grido del secondo Festival ovindolese e fata morgana dell’escursionismo in media montagna, a dare il ‘la’ più giusto alla pratica più esatta dello Yoga ‘selvaggio’. Fra le righe bianche di un presente immerso nell’onda lunga della riflessione, anche i riflettori di luce della trasmissione TV ‘Linea Bianca’, venuta a conoscere televisivamente ad Ovindoli lo sport meditativo sulla neve. Al passo di Alessandra Del Castello, maestra di sci di Roccaraso e lineamento femminile del noto programma ‘avventuroso’ di Raiuno, uno sport forse fin troppo poco pericoloso, ma assai selvaggio nell’anima quale lo ‘Yoga Wild’, ha fatto il suo ingresso nei battiti cardiaci dei turisti dell’altitudine più rock.
Si chiama wild, ma è comunque Yoga. Da dove nasce? Lo scrittore con la penna della mente Riccardo Brignoli, socio fondatore dell’associazione suddetta, assieme a Ferdinando Lattanzi, Domenico Cerasoli, Vanessa Ponziani e Roberto Salustro, e aquilano per DNA, è, tutt’oggi, un insegnante di Hatha Yoga diplomato a Roma. Lui è stato il maestro prescelto che ha deciso di portare, sulle alte vette ovindolesi, il verbo della meditazione e dell’accensione dell’ingranaggio dell’inconscio umano. «Nella vita, io sono uno psicologo, uno psicoterapeuta ed un esperto di orientamento analitico archetipico. All’Ovindoli Mountain Festival di quest’anno, assieme alla mia associazione, ho riesplorato la disciplina antichissima dello Yoga in ambiente esterno, il cosiddetto ‘Wild Yoga’; chiamato in tal modo proprio per sottolineare il suo estremo contatto con la natura. Si è scelta la montagna, in questo specifico caso, per la nostra spontanea stirpe abruzzese: la montagna è, di fatti, il tipico ambiente naturale nostrano, un habitat vero e proprio per le nostre pulsioni primordiali. Ovviamente, il ‘Wild Yoga’, si può effettuare in qualsiasi location all’aperto, poiché esso, nello specifico, entra in relazione con l’ambiente esterno, il quale non svolge semplicemente un ruolo da cornice, ma riveste i panni di un contesto nel quale le tecniche di Yoga fanno sì che ci si adatti perfettamente alla situazione ‘selvaggia’». Una sorta di ‘lupus in fabula’, quindi, ma buono. Immersi nel chiacchiericcio autunnale delle foglie e nell’alito freddo del nevischio, quindi, la pratica dello Yoga risulta essere innovativa sotto qualsiasi punto di vista. «Lo Yoga antico, in realtà, – dice ancora Riccardo – si realizzava già in questo modo; è una sorta di Yoga arcaico, che noi chiamiamo ‘Hatha yoga’ e che presenta delle origini ancestrali. La sinergia che si innesta tra uomo e ambiente è fenomenale».
La parola ‘yoga’, in realtà, già di per sé, si attacca addosso un bagaglio bilaterale di sensazioni, in quanto presuppone un’unione scambievole fra quello che è il modo di sentirsi all’interno e quello che riguarda il mondo esterno, ossia, «in parole povere, l’unione fra il micro-cosmo (il nostro ‘dentro’) e il macro-cosmo (il ‘fuori’). Quando si praticano esercizi di Yoga in un ambiente esterno, si cerca di trovare un’armonia di ritmi che permetta di usare la ‘scatola verde’ come specchio per riflettere dentro noi stessi. Attraverso questa pratica, l’uomo cerca, da un lato, di incrociare lo sguardo di un’esperienza estetica e, dall’altro, di impegnarsi anche dal punto di vista fisico, proprio perché la disciplina dell’Hatha Yoga richiede in più uno sforzo fisico. Nulla a che vedere, quindi, con il più classico dei classici sport sulla neve: con il ‘Wild Yoga’, la fatica è mentale: si scende in profondità del corpo e di noi stessi». Il sudore metafisico, quindi, ristagna nella discesa interiore. L’esigenza di ritrovare un proprio spazio di silenzio, di cucirsi addosso la bellezza di un soffio di aria desiderosa di volare: grazie ad uno yoga più wild, l’uomo diventa, cioè, capace di svincolarsi dal reale che opprime e di rinnestare in sé stesso un contatto più intenso con la natura. All’interno del meccanismo della giusta realizzazione del ‘Wild Yoga’, avvenuta sul piano innevato dello snow-park di Ovindoli , il giorno di domenica 24 gennaio, è presente un esercizio che, più di tutti, viene praticato frequentemente, soprattutto in alta montagna. È quello che riguarda la produzione del calore interiore, chiamato ‘Tapas’. «Questi esercizi – afferma ancora Riccardo – sono fondamentali perché sono la base sia dell’attivazione del metabolismo, sia della messa in moto di ciò che si connette col significato più vero di ‘Wild Yoga’, quale l’ardore interiore: il calore che nasce, cioè, dalla pratica della profonda concertazione. Vengono coinvolti nell’astuzia wild tanto il calore fisico quanto quello morale». Riccardo Brignoli, dal triangolo del suo equilibrio mentale, ad Ovindoli, ha regalato ai presenti i segreti per mettere le mani in pasta nei giusti esercizi di respirazione e di coordinamento dei movimenti, esplicati in modo tale da favorire un’attenta circolazione del sangue all’interno dell’organismo. Nell’espletazione del ‘Wild Yoga’, si sta fermi solo apparentemente, infatti; nella realtà dei fatti, si lavora all’interno in maniera esponenziale.
Le parole d’ordine, quindi, per i turisti dell’Ovindoli Mountain Festival numero 2, sono state: attivazione fisiologica e psichica del ‘caldo’ umano, che può essere inteso come il sole che risplende nella corazza solo apparente di ognuno di noi. «La giusta attivazione della circolazione fa sì – conclude Riccardo – che l’essere umano possa restare tranquillamente e spontaneamente inserito in un ambiente ‘selvaggio’, senza subirlo o soffrirlo. Io consiglierei la pratica del ‘Wild Yoga’ a tutti coloro che sono innamorati della natura, in primo luogo e, come seconda opzione, a tutti coloro che sono innamorati di sé». Un luogo così ricco di spigoli naturali deve essere considerato, nella pratica del ‘Wild Yoga’, alla pari della cornice di un quadro paesaggistico, nella quale infilarsi come piccoli soldatini di piombo in cerca dell’unica ragione di pace per la quale combattere. Un quadro di Picasso, forse, non avrebbe sortito lo stesso effetto: il sorriso bianco a 32 denti della Montagna d’Abruzzo ride di una vanità rarefatta ma pulita: rapisce l’io, il tu e l’egli della collettività per trasformarli, a poco a poco, in un ‘noi’ selvaggiamente più coinvolgente.
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