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San Benedetto in Perillis, Il paese d’Abruzzo abbandonato due volte che ha imparato a risorgere

da Redazione

il paese San Benedetto In Perillis oggiL’Abruzzo che non conosciamo

SAN BEBEDETTO IN PERILLIS (AQ) – Settanta abitanti, tre bambini, un bar, una farmacia, un alimentari e la dottoressa tre volte a settimana; eppure non manca niente.

C’è un solo bar a San Benedetto in Perillis, un solo bar, nell’unica piazza agibile del paese. Ed è lì che ci siamo fermati a chiedere se tutto quello che avevamo visto con i nostri occhi fosse reale e davvero in grado di esistere.
– Cos’è successo al paese vecchio?
– Eh, cos’è successo, che un po’ il terremoto, un po’ la politica, è rimasto così. Prima l’abbandono negli anni ’50 per l’emigrazione, poi la distruzione a causa del sisma del 2009.
– Quanti siete nel paese nuovo?
– Al massimo una settantina di abitanti, tre bambini in tutto. Qui si vive benissimo, io mi ci sono trasferito. Abbiamo tutto, il bar, la farmacia, l’alimentari e la dottoressa tre volte a settimana.
Non sapevamo davvero bene cosa rispondere a quel ragazzo di quarant’anni, con i capelli ricci, la barba incolta a cornice un sorriso semplice; non lo conoscevamo per niente, eppure quel suo “tutto” che ci raccontava ci è sembrato così vero che ci abbiamo creduto, quel “tutto” è diventato per quelle ore un po’ anche il nostro.

San Benedetto in Perillis ha sì una storovine di San Benedetto In Perillisria triste, perché ogni pietra che ha conosciuto la tragedia del terremoto non può non averne una, ma non siamo qui a parlarvi di questo. L’Abruzzo quella scossa la conosce bene. Vogliamo invece raccontarvi di come si possa vivere fuori dal mondo ad appena mezz’ora da casa.
Immaginate di svegliarvi una mattina nella vostra città e di conoscerne tutti gli abitanti, sapere nome e cognome di ognuno di loro e riuscire magari anche a ricordarvi quelli dei parenti del Belgio che arrivano per le vacanze. Assurdo no? No, non lo è per chi vive a San Benedetto in Perillis, che conosce a memoria ogni volto di quei settanta abitanti e nonostante questo non si annoia ma li custodisce.

– Adesso ci trovate tutti qui perché è estate e fa caldo, a quest’ora d’inverno siamo già tutti rintanati a casa davanti al camino. C’è tantissima neve, quando scende il sole si gela.interno San Benedetto In Perillis
Erano le 16.
Oltre le transenne il silenzio diventa pesante, i gatti controllano i nostri movimenti, che le nostre mani non si posino sui ricordi, che il nostro fiato non sposti la polvere che conserva. Ci sono ancora degli stracci appesi ad asciugare, le sedie appoggiate alle scrivanie, gli avvisi pubblici appesi nella bacheca del Comune. Le mattonelle di quella che era la piazza del campanile sono ancora lì; solo qualcuna ha ceduto, si è crepata, staccata dalle altre, quasi come ad aprire un varco per permettere a quel dolore sordo di abbracciare le fondamenta.

Ti senti un ladro a girare per quelle vie abbandonate, ti senti un usurpatore quando leggi quelle scritte fatte prima della guerra sul cemento fresco dei muri del paese “w la classe 1912” e qualche nome non più leggibile accanto. Chi le legge quelle scritte adesso? Quei ragazzi lì da chi verranno ricordati se non c’è più nessuno ad accarezzare quel muro?
Sposti la transenna e tutto torna normale, se di normalità si può parlare, i gatti ti controllano ancora ma da lontano, non è il paese nuovo che devono vigilare.

Torniamo San Benedetto In Perillisal bar e ci lasciamo raccontare ancora un po’ come si vive tra quei mattoni.
C’è ancora lui, il proprietario del bar, insieme a qualche altro eterno ragazzo come lui, un bambino col pallone, un cane, un paio di donne che se la ridono e qualche anziano seduto sulla panchina.
Restiamo a guardarli come se tra quelle risa potessimo percepire finalmente quel segreto, quella ricetta perfetta della felicità.
Settanta abitanti, settanta coraggiosi esseri umani che non permettono a una meraviglia d’Abruzzo di finire nel dimenticatoio ma anzi si rifugiano lì per sfuggire a una realtà troppo veloce come quella della grande città.

PASSEGGERO CHE VAI VELOCE E DISTRATTO
FERMATI UN ATTIMO E GUARDA
QUANTO PUÓ LA BESTIALITÁ DELL’UOMO.
OGNI PIETRA FERITA GRIDA
LIBERTÁ, SOLIDARIETÁ, RESISTENZA
E RICORDA AD OGNI UOMO DI BUONA VOLONTÁ
DI COLTIVARE LA PACE COME BENE SUPREMO.
PERCHÉ NON SUCCEDA MAI PIÚ CHE
IL SONNO DELLA RAGIONE GENERI I MOSTRI.
8 MAGGIO 1944 – 8 AGOSTO 2005

(A cura di Serena Zavatta, foto di Stefano Rossoni)

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