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Paganica, tributo al poeta e all’uomo Nicola Enrico Biordi

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L’AQUILA – Una magnifica e attenta cornice di pubblico ha ricolmato, nella serata di venerdì 21 giugno, il Centro Civico di Paganica, le restaurate scuderie del settecentesco Palazzo Ducale dove risplendono i colori “fauve” dell’affresco murale, dipinto nel 1990 da un grande pittore d’origine rumena che molto ha amato Paganica: Constantin Udroiu. Due giornalisti e scrittori di vaglia, Dante Capaldi e Mario Narducci, hanno reso con le loro testimonianze e con un’attenta analisi delle opere di Nicola Enrico Biordi il doveroso tributo al Poeta e all’Uomo, offrendo uno spaccato dell’Aquila del secondo dopoguerra ricco di richiami storici e di costume, periodo nel quale la vita di Biordi – poeta, pittore, musicista, compositore e giornalista – si è dispiegata con una notevole dose di sfaccettature. Dante Capaldi, attorno alla biografia del poeta, ha inanellato ricordi, aneddoti, curiosità e dettagli di vita cittadina che hanno fortemente richiamato l’attenzione del pubblico.

Più addentro nell’analisi critica della poetica del Biordi è andato Mario Narducci, riportando egli alla luce riviste aquilane di quasi 60 anni fa che furono cenacolo e palestra per giovani scrittori e giornalisti, verso i quali Nicola Enrico Biordi esercitava il suo carisma incoraggiando i loro desideri d’emergere, le loro propensioni letterarie. Dell’autore paganichese Narducci ha messo in luce la grande duttilità nell’uso della lingua italiana e del dialetto aquilano. Ne ha sottolineato la rara capacità nell’uso dell’ironia: sottile, efficace e mai greve. E poi ha sottolineato come Biordi, che in quelle riviste letterarie collaborava, aiutasse i giovani scrittori a crescere, a spiccare il volo. Le relazioni di Capaldi e Narducci sono state inoltre trapuntate con liriche di Nicola Enrico Biordi, interpretate dalla straordinaria voce recitante di Franco Narducci, attore consumato e di grande talento.

Dunque davvero meritoria questa iniziativa culturale per ricordare il poeta Nicola Enrico Biordi (Paganica, 26 novembre 1909 – L’Aquila, 18 luglio 1975), membro di una famiglia paganichese benestante e d’antica stirpe, che aveva grande confidenza con la scrittura. Il padre, Luigi Biordi, stimato ingegnere, uomo politico fervente liberale, letterato e giornalista, aveva sposato Giovannina Vivio, discendente da agiata famiglia paganichese con antenati patrioti e perseguitati politici. Dalla loro vita coniugale vennero alla luce otto figli, dei quali sono stati resi da chi scrive – che ha moderato l’incontro – alcuni cenni biografici.

Raffaello Biordi, il primogenito, nacque a Paganica nel 1896. Scrittore, critico letterario e d’arte, autore di una trentina di volumi – narrativa, storia e critica – è stata una delle penne più raffinate del giornalismo italiano scrivendo per prestigiose testate. Diverse migliaia i suoi articoli per le terze pagine dei maggiori quotidiani italiani. É stato corrispondente da Roma di riviste e giornali americani, svizzeri, uruguaiani e argentini. Numerosi i riconoscimenti per la sua attività culturale, come i tre Premi alla Cultura avuti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e un riconoscimento dall’Accademia d’Italia.

Mario, il secondogenito, fu ufficiale degli Arditi nella Grande Guerra, ferito in battaglia ed insignito di due Croci di guerra sul campo. Morì a L’Aquila nel 1928, all’età di 30 anni. Alessandro, il terzogenito, ingegnere elettronico laureato in Francia, visse a Rouen e fu imprenditore e consulente tecnico per industrie siderurgiche. Fu anche pilota automobilistico, musicofilo e flautista. Morì appena trentenne a Paganica, nel 1929. Emilio, il quartogenito, nato nel 1903, emigrò negli Stati Uniti, a San Francisco, città dove visse ma ogni anno in primavera tornando in vacanza nella sua Paganica. Dirigente in una importante banca americana, fu anche consigliere della Camera di Commercio della Costa del Pacifico.

Silvio, il quintogenito, nato nel 1905, visse sempre a Paganica, dove condusse fino a veneranda età la professione di geometra e di esperto agrimensore. Coniugato con Ortensia Ferella, ebbero tre figli: Maria Pia, Oretta e Luigi, quest’ultimo stroncato dalla morte in giovanissima età. Giovanni, il sestogenito nato nel 1908, fu stimato ragioniere e funzionario direttivo della Banca d’Italia a Chieti. Morì prematuramente all’età di 40 anni. Nicola Enrico, il settimogenito, nacque nel 1909. Sposò nel 1940 Iside Palmerii, un’insegnante che per molti anni operò nella Scuola Elementare “Francesco Rossi” di Paganica, formando intere generazioni di ragazzi che ancor oggi ne portano un vivo ricordo. Due i figli nati dal loro matrimonio: Franco e Anna Paola. Abitarono nella casa di famiglia a Paganica fino al 1948, quando la coppia si trasferì a L’Aquila, nella bella casa di via Garibaldi, godendo la vista della magnificente chiesa di San Silvestro, affrescata da Francesco da Montereale. Infine Anna Luisa, ultima degli otto fratelli, nata prematura nel 1913, visse solo otto giorni.

Nicola Enrico Biordi è stato uomo dal multiforme ingegno, dotato di eccezionale eclettismo, spaziando dalla poesia alla musica, alla composizione musicale, alla pittura e al giornalismo. Per la carta stampata è stato un autore prolifico, scrivendo per quotidiani e periodici italiani, quali “il Messaggero”, “il Tempo”, “La via migliore”, “Le Vie d’Italia”, “il Tricolore”, “il Popolo d’Italia”, “L’Italia liberale”, “Il Giornale d’Italia”, “Amicizia”, e per giornali italiani in Usa come “L’Italia di San Francisco” e “Il Progresso”. Feconda la sua opera nel campo della Poesia, in lingua e dialetto, che lo portò a pubblicare sei corposi volumi di liriche, con significativi riscontri della critica – importanti i riconoscimenti e premi alla sua produzione letteraria – e con notevole apprezzamento dei lettori. Tra il 1959 e il 1972, infatti, egli diede alle stampe sei ponderosi volumi di poesia in lingua e in vernacolo: “Foglie al vento” del 1959, “Scintille” del 1960, “Medicina umoristica in versi” del 1963, “Tra sintimentu, scherzu e ffantasia” del 1967, “Quando Esculapio sorride” del 1970, “L’Aquila scrive, parla e rrie ccuscì…” del 1972.

Presentando nel 1971, in una serata rimasta memorabile, il volume “Quando Esculapio sorride”, nella sua prolusione così tra l’altro commentava Corrado Ruggiero, alto magistrato e componente del Consiglio Superiore della Magistratura: “[…] Con questo libro, preceduto da altre antologie di versi in italiano, ben a ragione Nicola Enrico Biordi si colloca nella eletta schiera, che è quasi una legione, di poeti d’origine abruzzese, che, nella scia luminosa del non tramontabile Imaginifico, hanno illustrato ed illustrano tuttora la loro terra con un linguaggio di più ampia dimensione, fino ad inserirsi nella letteratura nazionale contemporanea. Mi riferisco, fra gli altri, a Giovanni Titta Rosa di Santa Maria del Ponte, ad Alessandro Dommarco di Ortona a Mare, ad Arturo Fornara di Pescara, a Eraldo Miscia di Lanciano, a Paolo Nisii di Teramo, a Gennaro Manna di Tocco Casauria, a Roberto Pappacena di Lanciano, a Raffaele Andreassi dell’Aquila, ad Angelo Narducci pure dell’Aquila, ed a tanti altri che per brevità ometto […]”.

Merito indiscusso di Nicola Enrico Biordi è quello d’aver dato alla poesia in vernacolo la dignità che merita nell’espressione letteraria, traendola dall’angustia che sovente vorrebbe relegarla nel piccolo mondo dello scherzo paesano, della minuzia sentimentale, dell’ironia a buon mercato. Il dialetto paganichese, e ancor più quello aquilano, per Biordi è invece espressione aulica e colta, è ricerca linguistica nel profondo delle radici, è autenticità d’espressione d’ogni sentimento. “La poesia dialettale di cui Biordi è autorevole rappresentante – annotava tra l’altro il prof. Raimondo Cappella – non è tutta poesia d’arte e neppure tutta poesia popolare, ma è la poesia popolare, in quanto si tuffa nel mondo dell’intuizione, del senso e dell’istinto, del concreto e del particolare, dello sperimentato e del corporeo, si riveste di forme più vive, più nutrite, più sentite, quasi scheletro che vada a riacquistare sangue e carne”.

Ancor più puntualmente ne scriveva il prof. Ernesto Giammarco, dialettologo dell’Università dell’Aquila, nella prefazione al volume “Tra sintimentu, scherzu e ffantasia”: “[…] La presente raccolta di Nicola Enrico Biordi ha valore, anzitutto, di testimonianza: un documento d’amore per la parlata “terrigena”, per usare un’espressione dantesca, ed anche storico. Un ritorno alla letteratura dialettale nella sua più alta forma d’espressione, qual è appunto la lirica. In questo senso il Biordi potrebbe dirsi un pioniere, perché, ch’io sappia – tranne qualche altro aquilano transfuga – è l’unico che coltivi con senso d’amore e intelligenza, con fedeltà e passione la poesia aquilana. E di questa fedeltà ha dato prova egli stesso con la puntuale costante presenza ai molti raduni e convegni poetici, nei quali ha ricevuto sempre approvazione e simpatia. Se non è ancora possibile dare una sistemazione, in sede storica, di questa produzione poetica nell’ambito della poesia aquilana in volgare, purtuttavia sento di dover salutare con compiacimento l’opera, perché essa si pone all’inizio d’una ripresa letteraria, la quale, dopo lunghi secoli di splendore, ha subìto un’incrinatura nella sua continuità […]”.

Degna inoltre di rilievo è la versatilità di Nicola Enrico Biordi, oltreché per la poesia, per la musica: egli suonava con perizia diversi strumenti, ma soprattutto con sensibilità si cimentava nella composizione musicale e dei testi. E ancor più apprezzabile la sua creatività nel campo della pittura, attitudine che sebbene coltivata in età matura, si nutrì di tecniche innovative sue proprie – gli “oleomatici” com’egli definiva la tecnica di sua invenzione a base di resine e cera – nell’uso del colore, prediligendo dipingere paesaggi, volti, scene di vita bucolica, fiori e meraviglie della natura.

Interessante è uno studio sulla vita e le opere di Nicola Enrico Biordi prodotto da Nadia Papola, ora docente, ma all’epoca laureanda in Lingue e Letterature straniere presso l’ateneo aquilano. Dal breve saggio sul nostro Autore traiamo un paio di riflessioni, che ci appaiono assai puntuali. “Tutta immersa in un mondo suggestivo – annotava Nadia Papola -, fatta a volte di scherzo, a volte di sentimento, a volte di fantasia è l’opera letteraria di Nicola Enrico Biordi, la cui poesia costituisce l’espressione più schietta e genuina della gente d’Abruzzo, del suo animo, delle sue tradizioni, della sua saggezza, del suo umorismo […]. Con le sue opere Nicola Enrico Biordi ha suscitato vivaci consensi e critiche, ma soprattutto ha saputo sempre mantenersi nel ruolo di un aquilano legato affettuosamente al suo ambiente, del quale voleva essere anche preciso testimone. Egli ispirò tutta la sua vita agli ideali di Dio, della Patria e della famiglia; seppe sempre ascoltare la voce di ogni dolore e trasformò la carità in amore. Tutti coloro che lo conobbero, che gli furono vicini, e quindi i suoi cari, i suoi amici, lo ricordano come un uomo spontaneo, schietto, leale, sensibile, genuino, buono, pieno di entusiasmo, di passione e di Fede. Egli parlava di Dio a cui credeva profondamente. E quando era malato appariva certo dolorante, ma nonostante ciò sorrideva. I suoi ammiratori lo ricordano come un poeta sensibile, come un pittore originale, insomma come un artista completo”.

L’incontro, promosso dall’Istituto di Abruzzesistica e Dialettologia (IAED) con il titolo “Autori paganichesi, ieri e oggi: Nicola Enrico Biordi e Goffredo Palmerini”, è stato infine occasione per una breve presentazione del volume “Grand Tour a volo d’Aquila” di Goffredo Palmerini. Un’incursione nei temi trattati nell’ampio volume, ma particolarmente nei numerosi racconti di viaggio alla scoperta del Belpaese – Capitanata e Gargano, Basilicata e Matera, Calabria jonica, Garda bresciano, Salento leccese, Trieste e Gorizia, Piemonte occitano – e nei reportage di missioni all’estero – New York e il Columbus day, Washington, Mons e Marcinelle – molto intriganti in quest’ultima produzione dell’autore paganichese. Sia Dante Capaldi che Mario Narducci hanno sottolineato il valore dell’infaticabile impegno nel campo della comunicazione del giornalista e scrittore paganichese.

Mario Narducci, parlando dell’opera di Palmerini nell’ambito dell’emigrazione italiana, ha sottolineato come egli sia stato capace di raggiungere risultati che nessuna istituzione era riuscita a realizzare. Grazie alla mole di articoli pubblicati sulla stampa italiana all’estero e ai suoi libri, Palmerini sta riuscendo a far meglio conoscere la storia della nostra emigrazione, raccontando le nostre comunità d’ogni continente che egli visita. Facendo conoscere e dialogare le due Italie, quella dentro i confini con l’altra Italia di 80 milioni di oriundi che vivono all’estero. Franco Narducci ha letto due brani tratti da due racconti di viaggio presenti nel volume. Da quei lacerti di scrittura è emersa plasticamente l’attitudine dell’autore ad accompagnare quasi per mano il lettore tra emozioni, colori, storia, arte e persino odori delle terre che visita, con una cura dei particolari che ricorda gli scrittori del Grand Tour. Dopo oltre due ore l’incontro si è concluso, con il pubblico emozionato e con l’appendice del firmacopie del libro che, uscito sei mesi fa, è già alla seconda ristampa.

A cura di Goffredo Palmerini

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Tags: Paganica

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