CHIETI – Paolo Fiorucci presenta “Sei personaggi in cerca di cuore”: il cantautore giocattolo, come lui stesso ama definirsi, arriva al suo primo lavoro discografico. Il titolo, molto intelligente e di grande suggestione, non fa mistero del richiamo all’opera pirandelliana “Sei personaggi in cerca d’autore”. Tantissime le citazioni qui presenti che rendono questo disco ancora più prezioso, regalando ad esso una bellezza ed un fascino di quelli che non si sentiva da tempo.
Paolo è un cantautore, ma di quelli per cui questa definizione è restrittiva, anomalo nel suo modo di intendere la musica: l’album è spiazzante, non ha un filo conduttore stilistico, ogni canzone è un episodio a sé stante, tanti generi insieme, una contaminazione continua, un incredibile ricchezza e varietà di suoni. Volete trovare una definizione a questo disco?
Un concept sicuramente di quelli però diversi dal solito: il filo conduttore è nei testi, nella storia di cui sono protagonisti sei personaggi inanimati che poi Paolo stesso ci spiegherà come si pongono di fronte alle vicende della nostra società. Tanti i grandi musicisti coinvolti in questo progetto, proprio per la varietà, ripetiamo, dei generi presenti. Una nota di merito alla grafica del cd, molto curata e studiata in ogni particolare. Un fumetto all’interno del booklet ne arricchisce l’indubbia bellezza.
“Sei personaggi in cerca di cuore” sarà presentato al Fictio di Chieti venerdì prossimo: sarà questa un’occasione particolare perché il cantautore teatino proporrà le sua canzoni in una veste diversa da quella del disco. Si esibirà infatti in trio: lui (voce, chitarra, armonica, sax) con Vitale Di Virgilio alle chitarre ed Umberto Cinalli al basso.
Chi meglio di Paolo poteva illustrarci quello che tranquillamente voglio acclamare come uno dei lavori più originali e belli degli ultimi anni?
Come definiresti dal punto di vista artistico Paolo Fiorucci?
R – Un uomo innamorato di una donna, la musica, che non l’ha mai tradito finora. Una canzone può darti la possibilità di contaminare le diverse arti, mettere insieme la classica canzone italiana con i codici cinematografici, quelli del country, jazz ed altri generi. Si arriva ad una sorta di Frankenstein, un insieme di fattori che portano poi ad un album come questo.
Questo è un disco spiazzante, ma nel senso buono del termine: non si segue una linea precisa, ma ci troviamo tanti generi. Brani completamente diversi fra loro: perché questa scelta?
R – È stato possibile farla grazie alla dimensione del concept, accettabile proprio per questo dal pubblico. L’omogeneità è assicurata dai testi: una storia che si srotola durante il disco, i sei personaggi inanimati che si svegliano e forniscono la loro visione del mondo dovuta al punto di vista da cui lo osservano. Dunque ho voluto contaminare i brani con generi che vengono da un background di ascolti che non si limita alla canzone d’autore italiana, ma anche ad uno sguardo attento all’estero. Ascolto soprattutto musica straniera, perché ci si fa intimorire alcune volte dall’uso della lingua italiana che ha oggettivamente minore effetto nella musica rispetto ad esempio all’inglese. Ho consumato cd di artisti come Simon & Garfunkel, David Bowie, Beach Boys, Eagles e riportato queste atmosfere nel mio disco. Ho inserito anche un pezzo prog, “La Creazione”, che è di Vitale Di Virgilio, arrangiatore del cd ed eccellente chitarrista frentano, chiaro omaggio alla tradizione delle nostre band storiche degli anni’70.
La mia analisi di “Sei personaggi in cerca di cuore” parte da “Al di là della vetrina”, piccolo gioiello di eleganza e raffinatezza:come nasce questa canzone?
R – Questa rappresenta realmente una partenza. Il pezzo è il primo scritto per l’album nel settembre 2007. Mi sono subito accorto della sua diversità rispetto a quelli che avevo scritto in precedenza. Questa parola deve far riflettere: i freaks sono un tema fondamentale che io ho voluto anche nella copertina. Qui si narra la storia di un manichino che per una volta cambia ruolo, prendendo vita ed innamorandosi di una passante. Mette in scena un dialogo solo pensato, che dura giusto il tempo di una canzone. Ho scoperto dopo che ci sono almeno altre due opere d’arte in cui si tratta il tema del manichino animato (un film di Spielberg ed un numero del mio fumetto preferito, Dylan Dog). Mi piace giocare con le parole, avendo studiato lettere.
“Sei personaggi in cerca di cuore”: salta subito all’occhio la citazione pirandelliana ….
R – Il rimando è quasi spontaneo. Mi piaceva il fatto di chiamare il mio lavoro “Paolo Fiorucci presenta ….”: questo fa pensare ad una sorta di regia. Oltre al codice cinematografico ho voluto anche citare un qualcosa di teatrale. “Sei personaggi in cerca di autore” fu definita un’opera estraniante alla sua uscita. Scegliendo un titolo così magari qualcosa si incuriosirà e andrà anche a riprenderla.
Sei legato in particolare ad uno degli otto episodi che compongono il cd?
R – Io definisco questo mio concept un’autobiografia in otto canzoni giocattolo. Ho cercato di esorcizzare la mia solitudine tramite questi personaggi, quella che ho provato io nascendo e vivendo in una città come Chieti che offre poco spazio alla fantasia o molto in alcuni casi. La mia canzone preferita è “Penso forse sono”, perché è una rivincita nei confronti della mia professoressa di filosofia, o meglio verso il ruolo che rivestiva. È infatti un capovolgimento del cartesiano “Cogito ergo sum” sempre nell’ottica di giocare con i titoli “Penso dunque sono” diventa appunto “Penso forse sono”. È un country, genere in Italia ancora non troppo popolare.
Ci sono dei grandi esponenti anche in Abruzzo (Tony Turco su tutti), a livello nazionale cito Luigi Grechi (il De Gregori meno famoso e meritevole autore de “Il bandito e il campione”). Io mi definisco pop però quello di Andy Warhol, d’autore per intenderci. Credo in questo: i Baustelle ne sono un esempio degno, Bianconi è un grande. Nel loro brano “Le rane” viene citato Yanez, l’aiutante di Sandokan e questo fa bene alla cultura italiana, a quella che viene definita anche “sottocultura” (fumetti, musica ecc.) che invece è cultura a tutti gli effetti. In “Penso forse sono” non si utilizza il classico schema pop (strofa, bridge, ritornello), ma c’è strofa strofa e ritornello strumentale con una coda di Theremin, strumento russo degli anni’10, eterofono, qui suonato da Lorenzo Lord Theremin Giorda di Torino che ne è un divulgatore. Alla fine del brano c’era questo sound spaziale adatto ad esso. Il testo parla di uno spaventapasseri costruito da un pittore olandese di nome Van Gogh. Dopo aver sentito “Vincent” di Don McLean, pezzo stupendo, credevo non si potesse più scrivere su di lui, invece ci sono riuscito. Sono molto legato alla mia terra, l’Abruzzo: penso che lui non avrebbe disdegnato i nostri campi di grano.
La veste grafica del cd colpisce e si nota che tutto è studiato nei minimi particolari (front e back cover, la label, il fumetto all’interno). Cosa c’è in realtà dietro tutto questo?
R – La grafica è l’ultima tappa di un’autoproduzione di un cd come questo. Spesso, avendo a disposizione un budget basso, la si sacrifica. Ho voluto fare un libretto di 12 pagine, con i testi, un fumetto di una ragazza svedese che è stato tradotto ed adattato al contesto per omaggiare l’arte del fumetto stesso. La label con lo spaventapasseri è un tributo alla mia canzone preferita del cd, “Penso forse sono”. Avevo il desiderio che il mio disco fosse ricordato anche come quello con lo spaventapasseri. Vorrei anche parlare della foto mia foto interna al cd. Sono entrato in una proprietà privata e la fotografa mi ha seguito in questa folle impresa. Mi solleticava l’idea di fare una foto allo zuccherificio di Chieti, per omaggiare la mia città e l’Abruzzo. Volevo citare “La fabbrica del cioccolato”, questa è invece “La fabbrica dello zucchero”. A chi è nato operaio a Chieti Scalo, questo luogo dice tanto, ha dato lavoro a molte persone. Io nutro un grande fascino per le fabbriche in rovina. Nella foto sono un personaggio, che si trova con le mani fra i capelli di fronte a questo rudere e si interroga su una società che corre troppo e forse male.
Questo è un album uscito dopo tanti sforzi: ora come cercherai di farlo conoscere?
R – Non c’è dietro una casa discografica. Il cd esiste su molti portali download a pagamento, fisicamente sarà venduto ai concerti. Ci sarà una serie di live: non mi supporta una macchina organizzativa e devo fare tutto da solo o aiutato da amici.
“Il nostro caro Frankie” è una cover del cantautore Marco Ongaro, come nasce?
R – Gira anche un video su internet, fatto utilizzando le scene di Frankenstein Junior. Un altro mio mito è Tim Burton che all’inizio era un disegnatore della Disney. Nel 1982 realizzò il suo primo cortometraggio con la tecnica “Stop Motion”, noi faremo a breve un video di questo pezzo proprio in questa maniera con i Lego, i miei giochi d’infanzia.
Venerdì il tuo disco sarà presentato al Fictio di Chieti: che tipo di serata sarà?
R – È un locale adatto per dimensioni intime, dunque le canzoni avranno una nuova veste: suoneremo in trio, io, Vitale Di Virgilio alle chitarre ed Umberto Cinalli al basso. Ci saranno arrangiamenti diversi, non so se avrò mai la possibilità di suonare i miei brani come sono sull’album, perché ci vorrebbero tutti i musicisti che vi hanno partecipato(ben venticinque!). Ho scelto il Fictio perché è il mio quartier generale, il locale che preferisco e poi mi sembrava giusto partire dalla mia città. Sto cercando di realizzare un concerto a L’Aquila in Via della Croce Rossa per ovvi motivi, ma anche perché, essendo per me la provincia più bella d’Abruzzo, vorrei tornasse a volare. Ho scritto 37 canzoni, quindi c’è un Paolo Fiorucci tutto da scoprire. Fra queste vorrei citare “L’astronave che non c’è” composta dopo un’esperienza a Coppito dove facevo l’animatore con bambini terremotati. Mi auguro potrete ascoltarla.
Appuntamento venerdì alle 21.30 al Fictio di Chieti per scoprire il mondo del cantautore giocattolo.
[si ringrazia Virginia Marrone per la foto concessa]
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