“Innanzitutto oggi abbiamo voluto ascoltare la voce dei protagonisti di questa fase di lotta, i commercianti che, con la nuova Zona Rossa, dopo il lockdown di primavera, hanno di nuovo dovuto abbassare le serrande delle proprie attività e incrociare le braccia, ma che soprattutto non vedono l’alba di tale situazione drammatica – ha ricordato il Presidente Rapposelli -. Come hanno ricordato oggi, gli stessi commercianti pensavano che il 4 dicembre, contenuta la diffusione del Covid come dimostrato dai numeri, il Governo avrebbe riaperto la vita in Abruzzo e invece oggi la nostra è una delle poche regioni ancora rosse, ovvero con l’applicazione dei provvedimenti più severi per il contenimento del virus. Una condizione che, come hanno testimoniato gli esercenti, ha determinato a oggi un calo del 90 per cento del fatturato annuo complessivo delle attività del comparto moda, molte delle quali chiuderanno a fine 2020. La situazione è drammatica, ne siamo tutti consapevoli, e dagli stessi commercianti sono tornate le richieste e le proposte, quelle rivolte alla Regione di prevedere l’erogazione di un nuovo fondo ristori per tutti quei negozi che hanno registrato perdite evidenti, dimostrabili, e quelle per il Comune, inerenti l’organizzazione di una pianificazione delle attività commerciali per il 2021 sin d’ora, stabilendo gli orari di lavoro delle attività di somministrazione, evitando il balletto delle ordinanze, fissando l’organizzazione di fiere ambulanti, stilando sin d’ora un potenziale programma di iniziative di intrattenimento capaci di rivitalizzare il tessuto commerciale, Covid permettendo, e poi la valutazione di un esonero o riduzione delle tasse comunali come Tari e Imu.
Oggi dico che probabilmente la situazione avrebbe meritato altre e più approfondite considerazioni, non lasciando la situazione esclusivamente nelle mani dei dirigenti, come pure prevede la Bassanini. Uno studio più approfondito anche dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto indurre l’assessore al Commercio a fare barricate pretendendo non una Zona Rossa generalizzata per tutto l’Abruzzo, ma piuttosto una differenziazione delle varie zone, perché era noto che a far alzare l’indice R/T di contagio non era l’area del pescarese o del chietino, ma piuttosto la zona de L’Aquila e, in parte, di Teramo. E di fatto – ha proseguito il Presidente Rapposelli – la Zona Rossa ha danneggiato solo Pescara che è notoriamente una città che vive di terziario, a differenza de L’Aquila che vive soprattutto di cultura. Il Decreto che ancora oggi impone la Zona Rossa in Abruzzo parlava chiaro, ma evidentemente non è stato neppure letto dall’assessore al Commercio; si sapeva, e avrebbe dovuto saperlo, infatti che lo stesso Decreto imponeva 21 giorni di vigenza prima di poter passare nella Zona Arancione, tant’è che si parla di una riapertura per il 10 dicembre, e comunque poi dovremmo aspettare 14 giorni prima di pensare di scendere in Zona Gialla.
A questo punto non ci resta che auspicare nel risultato dei buoni uffici del Presidente del Consiglio della Regione Abruzzo Sospiri che sta premendo per uno slittamento anticipato in Zona Arancione e che è stato l’unico fino a pochi giorno orsono a battersi contro la Zona Rossa generalizzata. Ma a questo punto dobbiamo anche pensare a cosa accadrà dopo, ovvero da qui a trenta-quaranta giorni: da più parti si comincia a paventare la possibilità di una terza ondata del virus, ma l’Abruzzo non può permettersi una terza chiusura che significherebbe il collasso del nostro sistema economico, ove tutti gli indicatori parlano di una probabile catastrofe commerciale. Oggi abbiamo allora un’unica soluzione: mappare e tracciare i casi positivi attraverso una tamponatura di massa all’interno della nostra provincia. Tutti coloro che dovessero aver contratto il virus andranno ovviamente assistiti separatamente dalla quota di popolazione negativa che dovrà essere libera di circolare e di lavorare. Al tempo stesso possiamo pensare a un provvedimento regionale che consenta di fermare gli spostamenti non solo tra Comuni diversi, ma anche tra province diverse, perché è chiaro che la nostra situazione sia sanitaria che economica è differente da quella delle altre province che vivono situazioni sanitarie più critiche”.
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