Si è svolto nei giorni scorsi al Cinema Teatro Sant’Andrea ed ha evidenziato l’amore di San Luigi Orione per l’Abruzzo: dal suo intervento al terremoto nella Marsica al centro di riabilitazione di Pescara
PESCARA – L’Abruzzo deve molto a San Luigi Orione, il santo che ha fatto dell'”intelligenza della carità” la sua contagiosa ragione di vita: profondamente umano il suo intervento all’indomani del terremoto in Marsica, caritatevole e preziosa la presenza dei suoi figli a Pescara, dove opera un centro di riabilitazione divenuto eccellenza nazionale. Ma non solo: un santo capace di leggere profondamente i segni dei tempi, diventando profetico in un Novecento che vede l’uomo perdere la sua identità. È quanto emerso nel corso del convegno “Don Orione: ho sempre amato l’Abruzzo”, che si è svolto nei giorni scorsi al Cinema Teatro Sant’Andrea di Pescara, in occasione dei cento anni del terremoto in Marsica, dei settant’anni della morte di Don Orione e dei cinquanta della presenza degli orionini a Pescara.
A fare gli onori di casa, don Primo Coletta, direttore del Don Orione di Pescara, che ha ricordato come “tra i primi sacerdoti che si adoperarono alla nascita dell’Opera Don Orione a Pescara ci fu don Gaetano Piccinini che, il 27 gennaio 1951, scriveva: “Ora l’Opera in Pescara è un filo che il Signore farà diventare una fune”. Come ha fatto questo filo a diventare una fune? L’ha spiegato Don Orione in una delle sue lettere: “Miei figli, viviamo in Gesù! Perduti nel suo cuore, affocati d’amore, piccoli, piccoli, piccoli; semplici, umili, dolci. Viviamo di Gesù! Come bambini tra le sue braccia e sul suo cuore, santi e irreprensibili sotto il suo sguardo. Viviamo per Gesù! Tutti e tutto per Gesù; niente fuori di Gesù, niente che non sia Gesù, che non porti a Gesù, che non respiri Gesù!”.
Dopo i saluti di monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, Giovanni Di Pangrazio, sindaco di Avezzano, e Emilio Longhi, consigliere comunale in rappresentanza del sindaco di Pescara, Marco Alessandrini, il convegno coordinato dal giornalista Piergiorgio Greco è entrato nel vivo.
Don Flavio Peloso, superiore dell’Opera Don Orione, ha ricordato che “è vero che Don Orione ha sempre amato l’Abruzzo. È stato un amore a prima vista. La prima vista dell’Abruzzo fu quando, il mattino del 18 gennaio 1915, egli giunse sul luogo del terremoto, nella Marsica, e vide lo strazio di quella gente per la quale poi si spese generosamente, appassionatamente”. Il superiore ha poi spiegato come Don Orione si mosse nell’opera di soccorso dei terremotati della Marsica: “Arriva a Roma alla sera del 15 gennaio, ma non va subito ad Avezzano. Da buon “stratega della carità”, si ferma a Roma per prendere contatti e disporre le relazioni per un buon intervento di soccorso e per la successiva accoglienza degli orfani”. Quanto Don Orione fece in quel contesto della Marsica ha qualcosa da dire anche oggi. Ci parla di coraggio e di intraprendenza, di dialogo con tutti ma anche di identità irrinunciabile, dà fiducia nella collaborazione tra laici e religiosi, tra istituzioni statali ed ecclesiali nel “fare del bene sempre, del bene a tutti, del male mai, a nessuno”. Ci parla di intervento generoso personale, ma anche di prudenza strategica e organizzativa. Ci dice che non c’è soccorso alle persone senza relazione umana, senza amore”. Don Peloso, poi, ha riportato anche lettere e ricordi di alcuni testimoni di quell’opera di soccorso, da Ignazio Silone a Gaetano Piccinini, Ernesto Campese e altri. Di Silone, in particolare, ha ricordato la testimonianza al processo di canonizzazione di Don Orione: “Lo conobbi nel 1916. Lo vidi fuggevolmente dopo il terremoto della Marsica, nel 1915. Ricordo, per essere stato presente, che Don Orione aveva raccolto un gruppo di bambini scampati al disastro e privi di famiglia. Don Orione era in attesa di poterli trasportare a Roma, ma la linea ferroviaria era interrotta e per giungere alla prima stazione bisognava percorrere ancora una quarantina di chilometri. Sul luogo si trovava già il Re con le autorità del seguito e le loro macchine erano ferme. Don Orione cominciò a far salire i bambini su alcune macchine, per raggiungere la stazione: I carabinieri di guardia si opponevano, ma Don Orione sembrava non badare e continuava nelle sue operazioni di carico. Frattanto giungeva il Re con il suo seguito per riprendere posto sulle macchine. Don Orione si presentò rispettosamente a lui e gli espose il motivo per cui faceva salire sulle macchine i piccoli orfani. Il Re accolse il desiderio di Don Orione e diede il suo consenso al trasporto dei piccoli orfani. Don Orione salì con essi sul primo treno e li accompagnò a Roma…”.
Da parte sua, il professor Tito Forcellese, dell’Università di Teramo, ha ricordato le caratteristiche del carisma orionino: la missione evangelizzatrice e l’apostolato nelle comunità di migranti, lo spirito ecumenico, l’amore e la devozione al papa, le numerose opere di carità per i poveri e gli ultimi, l’unità tra dottrina e pastorale, l’esperienza cristiana come incontro. “Anime, anime la sua preoccupazione. Conquistare le anime per instaurare omnia in Cristo” come recita il motto. Dopo aver contestualizzato storicamente la figura del santo, Forcellese ha spiegato che “la sua è stata una presenza operante, tenace discreta, mai lamentosa”. A proposito della carità, diceva Don Orione: “Vivere la verità nella carità, operare cioè sempre secondo gli insegnamenti della fede che contiene la verità rivelata, sotto l’impulso della carità, fedeli alla verità, ma in una volontà e spirito di carità”. Particolare attenzione, poi, è stata posta al rapporto di Don Orione con il modernismo. Scrive il santo il 25 giugno del 1913: “Se col modernismo e col semi modernismo non si finisce si andrà presto o tardi il protestantesimo o ad uno scisma nella chiesa che sarà il più terribile che il mondo abbia mai visto”. E ancora: “I tempi corrono velocemente e sono alquanto cambiati e noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della chiesa, dobbiamo andare e camminare alla testa dei tempi e dei popoli e non alla coda e farci trascinare. Per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo bisogna camminare alla testa. Allora toglieremo l’abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la chiesa”. Infine, un attualissimo cenno sulla famiglia: “L’attacco contro questa fortezza sociale che è la famiglia cristiana, custodita e mantenuta dall’indissolubilità del matrimonio, ora latente ancora, vedrete che domani diventerà furioso. Il femminismo è una parte importantissima della questione sociale e il nostro torto o cattolici è quello di non averlo compreso subito. Fu un grande errore. Il giorno in cui la donna liberata da tutto ciò che chiamano la sua schiavitù sarà madre a piacer suo, sposa senza marito, senza alcun dovere verso chicchessia quel giorno la società crollerà più spaventosamente all’anarchia più che non abbia crollato la Russia al bolscevismo”.