PESCARA – Il 14 settembre del 1943 era un martedì. L’ora dell’attacco all’incirca la stessa di quella del 31 agosto, cioè le 13.00. Dopo il primo bombardamento del 31 agosto molti pescaresi avevano abbandonato la città, ma a seguito della firma dell’armistizio dell’8 settembre alcuni vi avevano fatto ritorno, confidando in una normalizzazione delle fasi più pericolose.
La notizia dell’armistizio aveva portato un clima di speranza e, soprattutto, la convinzione che non ci sarebbero più state incursioni aree. Infatti, il 14 settembre la gente avvistò uno stormo di una trentina di B-24 Liberator e molti corsero in strada sventolando fazzoletti, come per salutare dei soldati ormai amici. Per tutta risposta, la città fu violentemente bombardata e questa volta fu colpita anche Porta Nuova. Gli alleati dovevano liberarsi la strada di accesso a Roma e volevano conquistare Pescara per arrivare nella capitale dalla via Tiburtina.
Se l’attacco del 31 agosto mirava a distruggere la stazione, obiettivo in larga parte mancato, il nuovo attacco puntava all’annientamento dei luoghi strategici del territorio, la stazione, gli Uffici pubblici, il centro urbano e questa volta venne colpita anche Porta nuova, rimasta illesa nel primo bombardamento. Venne distrutto il Palazzo su viale D’Annunzio che era stato sede della Prefettura, distrutto il ritrovo del Parrozzo in Piazza Garibaldi e qui venne bombardato e distrutto anche il Circolo Aternino. Nuovamente bombardato fu il centro cittadino e le bombe arrivarono fino a Villa Basile ai colli di Pescara ed a Zanni, zone non molte urbanizzate, a testimonianza della scarsa precisione dei Liberator.
Ma la strage più grave si verificò alla stazione ferroviaria dove la folla aveva preso di mira vagoni carichi di merci. In centinaia, forse migliaia, portavano via di tutto: farina, zucchero, sigarette e sale da cucina rimasti bloccati su un treno nella stazione di Pescara, più o meno dove sorge ora la stazione nuova della città. Le bombe che caddero lì vicino provocarono tra i 600 e i 900 morti, nel raggio di poche centinaia di metri. Il totale delle vittime non fu mai comunicato, né con esattezza, né con approssimazione, come del resto era accaduto per il primo bombardamento. Il risultato di questa nuova incursione, oltre alle migliaia di morti, fu quello di convincere l’80% dei pescaresi ad andarsene di nuovo. Restarono in città solo le persone malate e impossibilitate a muoversi e con loro i famigliari. Si trasferirono fuori città anche gli uffici pubblici: fra cui il Comune che fu trasferito a Spoltore.
Pescara divenne una città deserta. Questo spopolamento consentì di avere un numero limitato di morti nelle successive incursioni aeree che furono diverse, come in quelle del 17, 19 e 20 settembre. Altre incursioni ci fu il 4 ottobre, il 17 ottobre e ancora l’8 e l’11 dicembre. E’ facile notare che in venti giorni, tra il 31 agosto e il 20 settembre Pescara subì 5 bombardamenti, un trattamento degno di un baricentro fondamentale di una grande operazione bellica! Molti tornarono a Pescara a distanza di un anno da Chieti (dichiarata città aperta) o dai dintorni di Pianella e da paesi della provincia.
Pescara è dal 2001 Medaglia d’oro al valore civile. Fu il Presidente della Repubblica Ciampi a conferire questa onoreficienza alla città per l’alto numero di morti che la città subì proprio per quei bombardamenti.