Innanzitutto c’è la lingua di Volponi: una lingua allo stesso tempo semplice ed evocativa, che dà corpo al testo imponendo il ritmo di una confessione che non lascia scampo. «I miei mali, i miei mali», ripete una voce in prima persona, suggerendo da subito lo spazio intimo in cui un personaggio si rivela.
Memoriale è il racconto in prima persona della vicenda di Albino Saluggia: reduce dalla seconda guerra mondiale e malato di tubercolosi, viene assunto in fabbrica nell’Italia del boom, vivendo così il distacco dal paese di origine, dalla campagna, dal predominio della natura e dai valori di solidarietà del mondo cristiano e rurale.
Fin qui il testo di Volponi si inserisce in un filone di letteratura che vuole confrontarsi con l’avvento delle macchine e con il predominio di un modello industriale e tecnologico all’interno della società italiana.
Ma ancora più forte dei richiami al mondo esterno (quello della società e dell’economia) è l’attenzione al mondo interiore della soggettività: alle angosce, alle nevrosi, alle ossessioni di un giovane operaio, timido e solitario, che costruisce una sua dolente e stralunata riflessione filosofica sulla realtà industriale del boom e sull’alienazione da esso prodotta.
Così il realismo romanzesco si fonde al simbolismo del flusso di coscienza, i movimenti circolari della psiche alle trasformazioni lineari della società e dell’economia, il sognatore e l’“inetto” all’operaio, Svevo e Tozzi a Moravia e Pasolini (passando per Kafka, il Vangelo e Leopardi: sottotesto che indoviniamo volentieri nella lingua cristallina di Volponi).
Un romanzo così basterebbe leggerlo: perché e soprattutto come portarlo in scena? Cercando di dare sostanza al testo attraverso le azioni fisiche, in uno spazio spoglio in cui le emozioni, i pensieri e le parole, il corpo malato di Albino acquistino la massima risonanza in un rapporto ravvicinato con lo spettatore.
Non un teatro di “narrazione”, quindi (benché si parta da un memoriale): l’attore non “dice” il testo agli spettatori ma lo “vive”, appoggiandosi a una drammaturgia di emozioni e azioni fisiche. Un po’ si canta, persino (e non vi diciamo cosa!), in un viaggio circolare in cui Albino parte dai suoi mali e ritorna ad essi: forse con c’è soluzione alla sua angoscia, ma il contatto con lo spettatore la allevia e risolve la solitudine in comunità, permettendo a tutti di tornare al quotidiano più leggeri e prenotazione obbligatoria al 333 8665436 – staff@centroartis.it
Ingresso € 8,00. Per i non iscritti Artis tessera spettatore € 2,00 consapevoli.
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