PESCARA – Offrire un modello di housing sociale a beneficio delle donne vittime di violenza. È questo l’obiettivo del documento che arriva a conclusione del progetto “Autonomia: sostantivo femminile”, promosso dall’associazione Lì aps – Laboratorio e Innovazione di Pescara in partnership con l’associazione Novissi, in collaborazione con l’associazione Ananke e con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e della Regione Abruzzo. Tra gli obiettivi del progetto, appena terminato dopo un anno di attività che ha coinvolto 15 donne vittime di violenza in uscita dalla fase di emergenza, si esplicita anche la realizzazione di uno studio di fattibilità per la definizione di un modello di housing sociale dedicato a tale target.
A realizzarlo, in collaborazione con le associazioni coinvolte nel progetto, sono stati gli architetti Antonio Lucidi e Monica Puchetti della società cooperativa Sotecna di Pescara.
«L’elaborato serve a definire, con esempi concreti», si legge nel documento, «le condizioni di fattibilità per la realizzazione di un modello di housing orientato a soddisfare le esigenze di categorie fragili di utenti e a individuare le condizioni necessarie per mettere a disposizione del target individuato dal progetto “Autonomia: sostantivo femminile” (nel caso specifico, donne vittime di violenza), più unità indipendenti, ad uso residenziale, da utilizzare nella fase di ridefinizione del proprio progetto di vita e di progressiva conquista di autonomia lavorativa e abitativa. Sul versante dell’autonomia abitativa, si auspica che il presente studio di fattibilità, realizzato nell’ambito del progetto, possa condurre ad una vera sperimentazione di una “casa”, con più unità abitative indipendenti, a disposizione di donne vittime di violenza. Tali abitazioni potrebbero essere concesse a condizioni particolarmente agevolate, per un limitato lasso di tempo, per consentire alle donne di consolidare il proprio posizionamento lavorativo e stabilizzare la propria condizione familiare e, quindi, accedere ad altro alloggio a condizioni di mercato».
Il modello elaborato dagli architetti pescaresi si basa sull’abitare sociale e condiviso, ovvero un modo di abitare dove, all’alloggio temporaneo o permanente, è abbinata l’offerta di servizi che possano contribuire all’integrazione sociale delle donne vittime di violenza. A coordinare il tutto la figura di un “gestore sociale” che si occupi sia degli alloggi che dei servizi e che può essere rappresentata da enti, associazioni o società private. Il modello, inoltre, può contribuire, alla rigenerazione di contesti particolarmente svantaggiati della città, sia dal punto di vista architettonico che sociale.