6 misure cautelari nei confronti di tre uomini e tre donne accusati di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
PESCARA – La Squadra Mobile di Pescara, in collaborazione con i colleghi di Venezia, Prato, Rimini e Padova,ha scoperto un giro di sfruttamento della prostituzione. Determinanti anche le dichiarazioni di una delle prostitute che, con l’aiuto della Polizia, si è affrancata dal giogo dei suoi aguzzini e adesso vive in una località protetta.Si stanno eseguendo 6 misure cautelari nei confronti dei componenti di una banda di cinesi capeggiata da una donna: l’accusa è di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.Secondo la Polizia il centralino era a Venezia,mentre le ragazze si prostituivano in appartamenti di Pescara e Montesilvano. La clientela veniva reperita attraverso espliciti annunci pubblicati sui giornali locali con inserzioni in cui avvenenti ragazze offrivano massaggi.Il GIP del Tribunale di Pescara, Nicola Colantonio, su richiesta del PM che ha coordinato le indagini, Salvatore Campochiaro, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di tre uomini e tre donne, tutti di nazionalità cinese e con regolare permesso di soggiorno.
L’INDAGINE – Un anno di appostamenti, pedinamenti e intercettazioni telefoniche ha rivelato che il mercato del sesso “low cost” è in mano ai cinesi. Le prostitute erano chiamate “operaie”, in quanto dedite al lavoro come in una fabbrica, e i prezzi erano fortemente concorrenziali. Gli investigatori sono riusciti a scovare i tre appartamenti in cui le ragazze ricevevano i clienti e dove, di tanto in tanto, il capo dell’organizzazione o i suoi emissari, si recavano per rifornirle del necessario per vivere e lavorare, ma soprattutto per riscuotere i proventi. Erano i membri dell’organizzazione a tenere i contatti con i clienti e a comunicare il loro arrivo alle prostitute che, di solito, non sapevano neppure parlare l’italiano. Gli sfruttatori sollecitavano le connazionali a soddisfare ogni richiesta dei clienti, anche quando si trattava di concedere rapporti non protetti. Nel corso delle indagini, sono stati accertati ingenti trasferimenti di denaro in Cina attraverso operatori finanziari e il giro d’affari si aggirava almeno sui 90.000 euro al mese..