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Pescara, riciclaggio internazionale: sequestrati beni di lusso

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La Guardi di Finanza di Pescara ottiene la conferma del sequestro dei beni di lusso proventi illeciti del reato di evasione fiscale e scova oltre 3 milioni di euro in Lituania in un conto abilitato al trading in criptovalute

PESCARA – Block-chain. Evoca il mondo delle criptovalute la nuova inchiesta targata Guardia di Finanza di Pescara che, dopo le indagini sull’associazione per delinquere sgominata pochi mesi fa per la maxi-frode internazionale di auto di lusso sul mercato europeo, ha individuato in Lituania, all’apparenza, un conto corrente; in sostanza, una sorta di “lavanderia” per rendite illegali. È qui, infatti, nei circuiti multivaluta della più meridionale delle Repubbliche Baltiche, che finiscono milioni di euro, profitti illeciti di un’imponente catena di evasione fiscale che ha funzionato ininterrottamente, dal 2015 al 2020, perpetrando una truffa transnazionale sul mercato europeo, con un valore commerciale di fatture per operazioni inesistenti per la compravendita di auto di grossa cilindrata stimato attorno ai 53,5 milioni di euro.

È così che il sodalizio criminale internazionale indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato, riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori, negli anni ha accumulato un bottino ragguardevole, diroccato ad oggi, dopo che il Tribunale del Riesame di Pescara ha rigettato tutti i ricorsi presentati, confermando il sequestro di ville, auto di lusso, orologi preziosi, dipinti, carte di credito e disponibilità finanziarie per oltre 6 milioni di euro. Di questi, la metà è finita in un conto corrente lituano adibito al trading di Bitcoin, ora congelato dalle Fiamme Gialle del capoluogo adriatico che hanno agito su coordinamento della locale Procura della Repubblica e grazie alla collaborazione degli organi collaterali esteri per il tramite di Eurojust, l’unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione Europea.

Del resto, è ormai noto che gli abissi virtuali delle criptovalute offrano una sponda alternativa di wash trading, spesso praticato assieme agli strumenti più tradizionali del riciclaggio internazionale di profitti illeciti. Infatti, il denaro virtuale porta in sé caratteristiche tipiche sia del contante che della moneta digitale; garantisce anonimato, trasferibilità a basso rischio e convertibilità come il primo, e immediatezza e ribasso dei costi di transazione come la seconda. La sua circolazione sul web non avviene tramite l’intermediazione di un ente centrale, quali sono in genere le banche governative. Questo perché la criptovaluta è la punta di diamante della cosiddetta fiscalità decentralizzata, in cui le transazioni si fanno peer to peer, tra pari, tra utenti interconnessi, gli stessi che validano la richiesta di movimentazione del denaro virtuale in base alla fee erogata (più si paga, maggiore priorità sarà data all’elaborazione del transfer), e solo dopo aver verificato che il wallet da cui parte il denaro virtuale non sia incapiente.

Ma perché il cryptoworld diventa pretesto per il riciclaggio? La risposta sta in quello che per le organizzazioni criminali internazionali è il principale polo d’attrazione del mercato monetario virtuale: l’anonimato.

In effetti, se è vero che i bitconiani doc parlano più propriamente di pseudoanonimato, perché ogni transazione, quando viene confermata, diventa un blocco della catena, ovvero viene registrata in una sorta di libro mastro online e di dominio pubblico, è altrettanto vero che il soggetto proprietario dell’account non ha un nome e un cognome, ma un address, un algoritmo matematico, molto difficile da cifrare. Quindi sì, l’oggetto, cioè la transazione è rintracciabile, ma il soggetto, cioè l’agente, non lo è affatto. Anzi, può anche non esistere (è il caso del tumbler) o risultare collegato da un’area geografica diversa da quella reale, magari da Paesi per niente cooperativi nell’interscambio delle informazioni fiscali, o addirittura nascondere l’indirizzo IP con la rete TOR (The onion router), chiave di accesso al deep web.

Per cui, se commetto riciclaggio ogni qual volta voglio ostacolare l’accertamento della provenienza dei profitti illeciti, le transazioni in criptovalute, anonime, borderless e senza controlli, rappresentano un’occasione ulteriore, rispetto ai metodi tradizionali, per dissimulare la vera natura del denaro sporco, e per il cyber crime in generale. Ma non basta. Le valute virtuali possono creare un link tra riciclaggio e truffe. Come? Con una contaminazione a catena. Con la valuta reale sporca posso inquinare i tracciati virtuali, anche tramite il versamento presso gli ATM fisici di bitcoin, ottenendo così criptovalute altrettanto sporche, che poi posso ulteriormente gonfiare e infine ripulire. Questo in virtù del fatto che la loro elevata volatilità, oggi, non è più un disincentivo al wash trading, anzi; è l’occasione per creare bolle speculative che hanno un unico esito: la fuga con il malloppo. Le frodi “rug pulls” sono emblematiche in tal senso. Chi ha sufficienti risorse o migliaia di account farlocchi, può acquistare o fingere di acquistare quantità rilevanti di criptovalute, aumentandone il prezzo e attirando ulteriori investitori da cui drenare altra liquidità, per poi scappare con i soldi. E neanche il cash out è un problema: le criptovalute esistenti si sono moltiplicate. Ci si può muovere nei loro canali sino ad arrivare alla via d’uscita più conveniente, ossia quei Paesi dove gli exchanger sono soggetti senza obblighi antiriciclaggio, che reimmettono i bitcoin ripuliti nell’economia legale, cambiandoli in valuta reale.

Il risultato? Una grave lesione della libera concorrenza: sul mercato si ritrovano operatori che, frodando con le criptovalute, sono in grado di finanziarsi senza ricorrere a prestiti, il che consente loro di essere altamente competitivi, visto che possono offrire beni e servizi a costi inferiori rispetto quelli medi praticati, esattamente come è avvenuto nelle frodi carosello operate dalla banda criminale internazionale scoperta dalle Fiamme Gialle di Pescara.

Intanto però, qualcosa sembra muoversi all’orizzonte. Dal 18 maggio, presso l’Organismo degli Agenti e Mediatori, sarà disponibile il registro degli operatori in criptovalute. Un concreto passo in avanti nella regolamentazione del fenomeno finanziario virtuale del momento e nell’estensione anche ai cryptoasset della normativa antiriciclaggio che già insiste sulle monete FIAT.

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