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Pescara, ultima giornata del 25° Scrittura e Immagine Film Festival

da Redazione

25° Scrittura e Immagine Film FestivalIl programma odierno del Mediamuseum: “Non essere cattivo” di Claudio Caligari. Ricordo di Pasolini con: “Alfredo Bini, ospite inatteso”. Ricordo di Ennio Flaiano nel 43°  della morte

PESCARA – Oggi, 20 novembre, ultima intensa giornata per il 25° Scrittura e Immagine Film Festival al Mediamuseum di Pescara che si conclude con un bilancio più che positivo per la larga partecipazione di un pubblico attento, interessato e stimolato dalle proposte di questi giorni. Il programma di oggi si apre alle ore 17.30 con un non scontato ricordo di Pier Paolo Pasolini attraverso la proiezione del documentario “Alfredo Bini, ospite inatteso” di Simone Isola, dedicato alla figura del produttore cinematografico, tra i più coraggiosi e liberi, che scoprì Pasolini, producendo il suo film d’esordio “Accattone”: Montalto di Castro, 2001. Di fronte al Motel Magic di Giuseppe Simonelli giunge un anziano signore. Si trova temporaneamente senza dimora e chiede ospitalita` per due o tre giorni. Simonelli gliela concede, affascinato dai racconti e dalla simpatia di quell’uomo. Non lo sa ancora, ma l’ospite inatteso e` Alfredo Bini, storico produttore cinematografico, noto soprattutto per la lunga e intensa collaborazione con Pier Paolo Pasolini, che aveva fatto esordire nel 1960 con “Accattone” e del quale aveva prodotto tutti i film sino a “Edipo re” del 1967. I due o tre giorni di ospitalita` diventeranno dieci anni, e un rapporto speciale, come tra padre e figlio. Dalla storia di Giuseppe, e dalle testimonianze di ‘collaboratori’ come Bernardo Bertolucci, Claudia Cardinale, Ugo Gregoretti, Piero Tosi, Giuliano Montaldo e altri ancora, e attraverso immagini di repertorio, film, foto e memorie autobiografiche ‘rilette’ da Valerio Mastandrea, viene ripercorsa una vita vissuta per il cinema. Quella di un produttore mitico, con oltre 50 film prodotti, che aveva esordito ‘col botto’ con Il bell’Antonio, e che credette nel talento – oltre che nello scandalo – di uno dei nostri piu` grandi registi, e di altri importanti autori; che negli anni ’70 viro` verso un cinema ‘erotico ed esotico’ mentre nella sua filmografia si aggiungevano i nomi di Bresson e Chabrol; che nell’ultima parte della sua parabola si eclisso`, senza chiedere aiuto al mondo del cinema. Alfredo Bini, ospite inatteso restituisce cosi` una storia emblematica del cinema italiano; e soprattutto, restituisce la storia di un produttore coraggioso, scomodo, mai banale, appassionato, convinto di un paradosso: che il pubblico potesse accettare il cinema d’autore e di qualita`, e decretarne il successo. Un paradosso che lui era riuscito a produrre.

Alle ore 19.00 breve ricordo di Ennio Flaiano nel 43° anniversario della morte con la testimonianza di Giuseppe Rosato, poeta, scrittore, critico e giornalista abruzzese amico del Pescarese.

Si prosegue alle ore 19.30 con la proiezione di “Non essere cattivo” film postumo di Claudio Caligari: Ostia, 1995. Vittorio e Cesare sono amici da una vita, praticamente fratelli. Cresciuti in un quartiere degradato campano di espedienti, si drogano, bevono e si azzuffano con altri sbandati come loro. A casa Cesare ha una madre precocemente invecchiata che accudisce una nipotina malata, la cui madre è morta di Aids. Vittorio invece sembra non avere nessuno al mondo e quando incontra Linda vede in lei una possibilità di costruire una vita normale. Trova lavoro e cerca di coinvolgere anche Cesare, che nel frattempo si è innamorato di Viviana, una disperata come lui, ma piena di voglia di costruirsi un futuro. Riusciranno Rosencrantz e Guildenstern a diventare protagonisti della loro vita? L’ultimo film di Claudio Caligari, 17 anni dopo L’odore della notte è un altro excursus nei luoghi oscuri non solo dell’hinterland romano, ma dell’animo umano e della società contemporanea, raccontato attraverso due figure di confine, l’una encomiabile per la sua volontà di tirarsi fuori dalle sabbie mobili della propria condizione, l’altra patetica per l’incapacità strutturale di farlo. In certi luoghi e certe circostanze non essere cattivo, per citare il titolo, non è una scelta, perché per sopravvivere alla violenza e alla prevaricazione che ti circonda devi tirare fuori la tua natura peggiore, e possibilmente un “ferro”. Al di là di una trama piuttosto prevedibile e molto già vista al cinema, ciò che colpisce di Non essere cattivo è l’energia vitale di cui è imbevuto, la fame di rivalsa, la voracità con cui Vittorio e Cesare azzannano la vita, strappandone brandelli di carne viva. La fotografia (di Maurizio Calvesi) lucida e colorata al neon, crea un 3D “de noantri”, un bassorilievo pagano. Anche l’archeologia suburbana è messa a frutto per delineare un universo coatto e coattante, un pianeta selvaggio dove è inevitabile sentirsi marziani, come marziano doveva sentirsi Caligari rispetto a gran parte della inciviltà contemporanea. Prodotto grazie alla caparbietà di Valerio Mastandrea nel cercare finanziamenti, il film si prepara a rappresentare l’Italia nella corsa agli Oscar 2016, battendo la concorrenza di pezzi da novanta quali “Mia madre” di Nanni Moretti, “Il giovane favoloso” di Mario Martone, “Sangue del mio sangue” di Marco Bellocchio.

Iumowska è una sceneggiatrice, regista e produttrice tra le più interessanti nel panorama del cinema polacco. Lo conferma anche in questo film complesso in cui prova a fondere, riuscendoci, una lettura della società del suo Paese con quella di vicende individuali del tutto particolari. Sembra di essere tornati ai tempi di Kieslowski quando si vedono quei casermoni anonimi che facevano da efficace sfondo al Decalogo. Tutto però è cambiato da allora. Il comunismo non c’è più, ma la sensazione di profonda solitudine si è addirittura accentuata in un universo consumista e liberistico in cui i modelli vengono imposti non più da un regime ma dal dio mercato a cui ragazzine caratterialmente fragili sacrificano il proprio corpo per corrispondere ad assurdi canoni estetici. Al contempo la religione cattolica, che aveva costituito comunque una barriera all’ideologia totalitaria, non sa far fronte alla nuova emergenza lasciando spazio a misticismi più o meno esoterici. È in questo quadro di disarmante fragilità che si contestualizzano le vicende di una figlia senza madre, di un marito senza moglie e che sta perdendo l’amore della figlia e di una madre senza figlio e senza marito che vorrebbe curare gli altri mentre cerca, attraverso loro, di curare se stessa. I corpi a cui si fa riferimento nel titolo sono quelli che pesano con la loro sconvolgente fisicità nei luoghi del crimine ma ancor più quelli, ormai immateriali, che tormentano le coscienze di chi è rimasto in vita.

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