PESCARA – Si è svolta ieri a Pescara la cerimonia del 25 aprile in piazza Garibaldi dinanzi al monumento ai Caduti. Presenti molte Autorità, tra cui il sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia,il Presidente della Provincia Guerino Testa, il Prefetto Vincenzo D’Antuono, l’onorevole Gianni Melilla, il Presidente del Consiglio comunale Roberto De Camillis, il Presidente del Consiglio regionale Nazario Pagano, i consiglieri comunali Salvatore Di Pino, Vincenzo Berghella e Michele Di Marco, l’abate generale Don Francesco Santuccione, oltre a tutte le Autorità Militari e ai rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, tra cui anche i reduci dei campi di concentramento. Ma soprattutto c’erano tantissimi cittadini che hanno assistito alla celebrazione.
La cerimonia si è aperta alle 10 in punto con lo schieramento dei Reparti d’Onore e l’ingresso in piazza Garibaldi dei Labari e dei Gonfaloni raccolti ai lati del monumento ai Caduti. Quindi il picchetto d’onore con il passaggio del Prefetto D’Antuono in rassegna dei corpi militari, seguito dall’Alzabandiera, sulle note de Il Silenzio, rotto solo dall’applauso dei presenti, ad accompagnare l’Inno Nazionale. Subito dopo il sindaco Albore Mascia, il Presidente Testa e il Prefetto D’Antuono hanno accompagnato le tre Corone, benedette da Don Francesco Santuccione, ai piedi del monumento ai Caduti per un minuto di raccoglimento e silenzio.
“Dopo 69 anni non ha più senso continuare a dividerci tra vinti e vincitori. Se perenne deve rimanere il monito di quanto è stato e che non deve mai più ripetersi, uno spirito di rinnovata liberazione dai ‘fantasmi del passato’ potrà trovare solo un’Italia più saggia e più forte. Questo è lo spirito di libertà, di indipendenza e di lungimiranza che dovremmo tornare a respirare”. Lo ha detto il sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia nel corso del discorso istituzionale tenuto nel corso della cerimonia odierna del 25 aprile svoltasi come da tradizione in piazza Garibaldi dinanzi al monumento ai Caduti. Presenti molte Autorità, tra cui il Presidente della Provincia Guerino Testa, il Prefetto Vincenzo D’Antuono, l’onorevole Gianni Melilla, il Presidente del Consiglio comunale Roberto De Camillis, il Presidente del Consiglio regionale Nazario Pagano, i consiglieri comunali Salvatore Di Pino, Vincenzo Berghella e Michele Di Marco, l’abate generale Don Francesco Santuccione, oltre a tutte le Autorità Militari e ai rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, tra cui anche i reduci dei campi di concentramento. Ma soprattutto c’erano tantissimi cittadini che hanno assistito alla celebrazione. La cerimonia si è aperta alle 10 in punto con lo schieramento dei Reparti d’Onore e l’ingresso in piazza Garibaldi dei Labari e dei Gonfaloni raccolti ai lati del monumento ai Caduti. Quindi il picchetto d’onore con il passaggio del Prefetto D’Antuono in rassegna dei corpi militari, seguito dall’Alzabandiera, sulle note de Il Silenzio, rotto solo dall’applauso dei presenti, ad accompagnare l’Inno Nazionale. Subito dopo il sindaco Albore Mascia, il Presidente Testa e il Prefetto D’Antuono hanno accompagnato le tre Corone, benedette da Don Francesco Santuccione, ai piedi del monumento ai Caduti per un minuto di raccoglimento e silenzio.
Quindi la parola è passata al sindaco Albore Mascia: “Sessantanove anni fa – ha detto il primo cittadino – con la liberazione simbolica di Milano e di Torino, l’Italia tornava lentamente a riconquistare un’unità territoriale e d’intenti dopo i numerosi anni di guerra, di divisioni e di occupazione straniera. Con tale data cambiò il vento e l’Italia si indirizzò, spedita, prima verso il referendum del 2 Giugno 1946 e poi verso la stesura della nostra Costituzione repubblicana. Oggi, quindi, celebriamo e ricordiamo il primo palpito del cuore della nostra amata Repubblica, il primo gemito di una nuova Nazione che, seppur con oltre tre millenni di storia alle spalle, si risvegliava rinnovata, dopo l’incubo di una prolungata guerra mondiale e di una sanguinosa lotta fratricida. La genesi di questa celebrazione si ebbe con il decreto legislativo luogotenenziale n.185 del 22 Aprile 1946 che recitava: ‘A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale’. Tale decreto riveste tutt’oggi un valore simbolico, in quanto fu una delle primissime commemorazioni italiane post-belliche fissate sul calendario. E questo primo atto fu poi confermato e perpetuato con la legge n.260 del 27 Maggio 1949. Dall’indomani della caduta dell’Impero Romano, pochi sono stati i periodi storici in cui la nostra Italia è stata libera dalla dominazione di potenze straniere: un’importante stagione iniziò con l’Unità d’Italia e la seconda proprio con la data che celebriamo oggi. L’Italia, quindi, tornava ad essere unita grazie a tutti quei cittadini che furono coscienti del proprio ruolo e delle proprie responsabilità nella costruzione del futuro della Nazione; cittadini che si unirono alle Forze Armate Alleate senza le quali, come tutti noi sappiamo, non sarebbero bastati i soli sforzi , seppur strenui, e la sola volontà, seppur determinata, degli italiani. Come non ricordare, in tal senso, il contributo del Comitato interpartitico di Liberazione Nazionale formato da movimenti di diversa estrazione culturale e ideologica, composto da rappresentanti della DC, del PCI, del Partito d’Azione, del Partito Liberale e da altri. Mentre, pur partecipando alla Resistenza, rimase fuori dal Comitato il Partito Repubblicano, per la sua posizione istituzionale che comportava una pregiudiziale antimonarchica, mentre il CLN prevedeva la ‘precedenza alla lotta contro il nemico esterno, spostando a dopo la vittoria il problema dell’assetto Istituzionale dello Stato’. Oltre al CLN, ai fini della riconquista dell’indipendenza, in seguito ai noti eventi dell’8 Settembre, si unirono anche alcune unità dell’Esercito e della Marina che contrastarono i tedeschi con le armi, a Roma, a Bari, nel cantiere navale di Castellammare di Stabia, in Sardegna e a Cefalonia, riuscendo in pochi, ma rilevanti casi, a prevalere. Ma, come è noto, esisteva anche un’altra parte di italiani, quelli i cui ideali non superarono la “prova del fuoco” della democrazia. Anche della loro sconfitta noi oggi ci ricordiamo, perché resti come monito per tutti noi. Ma oggi vogliamo anche superare una fase di sterile contrapposizione. E così come, saggiamente, gli Stati Uniti si lasciarono alle spalle convulse condanne, in seguito alla Guerra di Secessione, a favore di un rinnovato spirito di unità nazionale. Così come la popolazione nera del Sud Africa si lasciò alle spalle cieche liste di proscrizione, a favore dell’istituzione della ‘Commissione per la Verità e la Riconciliazione’, che portò, appunto, pace e riconciliazione in una Nazione divisa. Così, anche noi che attualmente godiamo di quella libertà conquistata faticosamente dai nostri Padri della Resistenza, parimenti non possiamo continuare ad alimentare le cieche e vuote contrapposizioni di un tempo che non è più e che, con la costante vigilanza di tutti, non sarà mai più. Non ha più senso continuare a dividerci, perché i figli dei vinti e dei vincitori, e così anche loro i nipoti, si sono mescolati fra loro e hanno formato famiglie, le stesse che oggi popolano le strade e le piazze della nostra Italia. I figli dei vinti e dei vincitori, e i loro nipoti, sono le stesse persone da cui veniamo stati assistiti nelle ambulanze e negli ospedali; che ci hanno insegnato nelle scuole e nelle università; da cui veniamo difesi nelle varie Forze Armate e nei Corpi di Polizia; che abbiamo votato ad incarichi pubblici. Per cui, se perenne deve rimanere il monito di quanto è stato e che non deve mai più ripetersi, uno spirito di rinnovata liberazione dai ‘fantasmi del passato’ potrà trovare solo un Italia più saggia, più magnanima e più forte. Questo è lo spirito di libertà, di indipendenza e di lungimiranza che dovremmo tornare a respirare oggi. Pensare al domani, al nostro avvenire, progettare uniti il nostro futuro come Nazione, così come uniti ci liberammo – 69 anni fa – dal giogo dell’ ‘oppressore’. Pensare a come possiamo liberarci dalle difficoltà economiche che attanagliano la nostra Italia; a come sopraffare le difficoltà sociali che vediamo ogni giorno intorno a noi o che ci toccano direttamente; a come celebrare ogni giorno una festa della Liberazione per riscoprire quotidianamente un’Italia più sana, più vera, più giusta”.
La cerimonia si è conclusa, come da tradizione, con l’uscita dei Labari e Gonfaloni.