PESCARA – Si è svolta ieri a Pescara la cerimonia per celebrare la Giornata delle Forze Armate e della Unità Nazionale.Le Autorità e le Associazioni combattentistiche e d’Arma si sono ritrovate nella Cattedrale di San Cetteo per la celebrazione della Santa Messa e in Piazza Garibaldi per il rito dell’Onore ai Caduti e la deposizione delle corone d’alloro.Il sindaco di Pescara,Marco Alessandrini ha rivolto il seguente saluto alle istituzioni civili e militari radunate ed ai cittadini presenti:
Il 4 novembre è stata l’unica Festa Nazionale che, istituita nel 1919, all’alba della fine della prima guerra mondiale, abbia attraversato le età dell’Italia liberale, fascista e repubblicana.E’ il giorno dell’Unità Nazionale, questa data ricorda la battaglia di Vittorio Veneto, uno dei giorni epici della Prima Guerra Mondiale, alla fine della quale si arrivò all’unificazione dell’Italia.E’ il giorno dedicato alle forze armate, che nella nostra repubblica sono preposte a vegliare sulla sicurezza interna e a ricercare la pace a livello internazionale.
Ma credo che sia soprattutto un giorno in cui la memoria civile e quella militare non sono diverse: si fondono in nome di coloro che combatterono per un futuro di libertà e speranze e di quanti oggi continuano ad incarnare quel sacrificio rappresentando lo Stato.
L’Italia entrò in guerra nel 1915, il 24 maggio. Eravamo un paese povero e impreparato, che dovette passare dalla polvere del quotidiano alla terra delle trincee per difendersi.
Subì dei colpi durissimi: Caporetto nell’ottobre 1917 fu il momento più difficile, ma quell’Italia di padri, figli e fratelli combattenti riuscì a resistere eroicamente sulla linea del Piave e consentì la riscossa fino alla resa degli austriaci a Vittorio Veneto il 4 novembre, appunto.
E’ stato il più grande conflitto mai visto, che coinvolse i maggiori continenti , cambiando milioni di destini.
Quando furono firmati gli armistizi, dopo il 1918, la guerra appena conclusa aveva lasciato sui campi quasi venti milioni di vittime.
Non finì con la cessazione delle ostilità. I sopravvissuti dovettero combattere ancora, ma stavolta con i cambiamenti che derivarono da quel conflitto che furono epocali, perché oltre al modo di combattere avevano mutato anche il mondo e i suoi equilibri. un mondo era finito e cominciava una nuova era.
Tutto questo accadeva cento anni fa. Appena un secolo da oggi, anni che possono sembrare lontanissimi da noi ma che in fondo ci appartengono, ci toccano, con l’eco del racconto dei nostri nonni o bisnonni che li hanno vissuti, a volte anche combattendo.
Il nostro pensiero corre a loro e alle speranze che avevano come orizzonte stando in trincea. Speranze che sono un testimone che ci hanno passato e di cui dobbiamo tenere conto, costruendo un futuro che contenga tutti gli ideali per cui morirono milioni di persone dentro e fuori dall’Italia.
Un pensiero che in questo difficile momento storico va tutti quanti coloro che ogni giorno rappresentano lo Stato, pur vivendo le stesse vicissitudini dei cittadini, insieme alla speranza che queste due identità non siano mai separate, che lo Stato ci rappresenti tutti sempre e ovunque, anche nei momenti peggiori.
Un pensiero che va alla comunità che si espone ai sacrifici perché il mondo sia migliorare. oggi, davanti non abbiamo una trincea come quella di cento anni fa, ma sicuramente dobbiamo ridisegnare un orizzonte vivibile e sereno per tutti , rendendo le istituzioni dei fari che ci tutelino e consentano l’affermazione dei diritti di tutti.
Questo è il compito della politica. Questo è il messaggio di grande attualità che è insito in ogni giornata della memoria.