TAGLIACOZZO (AQ) – L’autore è Wu Ming 1 (nome d’arte) che insieme al suo collettivo ha venduto milioni di copie in tutto il mondo con titoli come Q, 54, Manituana e Altai. Ora si cimenta in un’opera singola, un libro a metà tra il romanzo e la ricostruzione storica. Si parte infatti da un fatto storico, un alpinista di Trieste, Felice Benuzzi, che scappò dal campo di prigionia in Africa nel 1943 per scalare il Monte Kenia (5000 metri) e tornare giù riconsegnandosi agli inglesi.
La presentazione sarà articolata in tre momenti: dalle ore 15 camminata con l’autore Wu Ming 1, per parlare e per arrivare in un punto panoramico, la cima del Monte San Nicola, da cui si vede il Velino da lontano, proprio come da lontano, dietro i reticolati del campo di concentramento, il protagonista del libro Felice Benuzzi vedeva il Monte Kenya in Africa, e bramava di scalarlo. Il Velino assomiglia al Monte Kenya, solo è alto esattamente la metà.Alle ore 18 la passeggiata termina al Casale Le Crete (laterale Tiburtina Valeria km 102,200), dove in un teatro costruito con balle di fieno avverrà la presentazione più tradizionale, seduti ad ascoltare l’autore. A conversare con Wu Ming 1 sarà Luca Gianotti di Tagliacozzo, autore del libro “L’arte del camminare” (Ediciclo 2011) e Accompagnatore di Media Montagna.Finita la presentazione piccolo rinfresco offerto dal Casale Le Crete di Tagliacozzo e dall’Agriturismo Ciaccia di Celano. E gli asini potranno banchettare mangiandosi il teatro!Patrocinano l’iniziativa l’associazione nazionale Compagnia dei Cammini e l’associazione di promozione sociale di Tagliacozzo Asini in Cammino.
Tutti gli eventi sono gratuiti.
La pagina dedicata all’evento: http://www.casalelecrete.it/wuming1
La pagina facebook del Casale con l’evento Wu Ming 1: https://www.facebook.com/CasaleLeCrete
Recensione del libro scritta da Luca Gianotti :
Per chi non ha mai letto niente dei Wu Ming
Questo libro è scritto da Wu Ming 1, del collettivo di scrittori Wu Ming di Bologna. Insieme a Roberto Santachiara, agente letterario e appassionato di alpinismo e viaggi.L’idea di Santachiara è stata: scegliere un bravo scrittore che ha il fiuto del segugio, ripercorrere una storia incredibile come quella di Felice Benuzzi che nel 1942 scappò dal campo di prigionia inglese in Africa per scalare con due compagni di cella il Monte Kenya, per poi riconsegnarsi alle autorità britanniche. E raccontarla. Santachiara e Wu Ming 1 hanno scalato come prima cosa il Monte Kenya, per immedesimarsi nel protagonista. Per Wu Ming 1 è stata la prima occasione in vita sua per misurarsi con cose “di montagna”. Poi hanno cominciato a investigare la storia di quest’uomo, che – come la storia di ogni uomo – attraversa periodi storici importanti, incontra protagonisti di quel periodo. La storia di un uomo e la storia di un popolo si intrecciano, in questo libro che Wu Ming 1 definisce un “oggetto letterario non identificato”.
Per chi già conosce i Wu MingWu Ming 1 è di formazione uno storico. E si vede. Questo libro rispetto agli altri libri che ho letto dei Wu Ming (ho letto tutti quelli del collettivo, e come opere soliste solo quelli di Wu Ming 2) l’impronta storiografica è molto più preponderante. È un libro di storia, ma non è un libro di storia. Parla del passato per parlare al presente, come sempre sanno fare i Wu Ming. Nel ripercorrere la vita di Felice Benuzzi, il libro ci racconta i dettagli dell’irredentismo di Trieste, la “fedelissima” che diventa italiana; ci racconta tante storie di alpinisti, soprattutto di Emilio Comici che era quasi-amico di Benuzzi, era il più grande scalatore del periodo ante guerra, ma non era un fanatico fascista, era un rocciatore e basta, e il CAI, “fascistissimo” (come si autodefinì), lo emarginò; ci racconta la storia delle guerre coloniali di conquista, in Africa, per costruire l’impero mussoliniano, dei massacri folli di Graziani e Badoglio, e smonta la teoria che noi italiani siamo stati meno terroristi delle altre nazioni, portando le prove storiche dell’uso dei gas chimici in modo massiccio, anche se la comunità internazionale li aveva vietati, l’Italia fu l’unica a usarli sterminando migliaia di innocenti.In tutto questo, Felice Benuzzi ne esce come un uomo mite, dedito al suo lavoro di funzionario, dedito alla famiglia, una bella famiglia, e alla passione per i viaggi e per la montagna.Ma il libro ci racconta indirettamente anche l’Italia di oggi, paese che ha perso la memoria. Abbiamo fatto una operazione di rimozione gravissima, e ne stiamo pagando alto lo scotto. Perché la memoria di quegli anni potrebbe insegnarci tanto. Ma abbiamo preferito far finta di niente, non sapere. Non sapere cos’è successo in Etiopia o nelle altre “colonie” del nostro misero Impero. Troppo poco sappiamo del periodo fascista, troppo poco insegniamo ai nostri figli. Da quell’esperienza potremmo far emergere i valori migliori, capire il valore della pace, della condivisione, del senso di comunità. La cultura della non memoria ci porta invece verso il baratro dell’egoismo. Il baratro ce l’abbiamo sotto gli occhi. La memoria storica, e libri come questo, ci aiutano a pensare che un altro modo di vivere non solo è possibile, ma è necessario e urgente.
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