Rincari di metallo, materiali termoisolanti e legno insostenibili per la filiera: così si rischia di vanificare la misura del Superbonus 110%
PESCARA – Una bolla speculativa sui prezzi delle materie prime rischia di provocare un effetto negativo sugli interventi per la riqualificazione del patrimonio immobiliare, generati dalle misure previste dal “Superbonus 110%”. Proprio mentre si chiede alla politica di prorogare a tutto il 2023 la misura, si lavora a smussare gli aspetti più problematici e a snellire gli eccessivi vincoli burocratici che la accompagnano. La denuncia arriva da Cna Costruzioni Abruzzo, sulla base di una interessante indagine condotta dal Centro studi nazionale della Confederazione artigiana, cui ha partecipato un campione significativo di imprese artigiane, micro e piccole della filiera che mette assieme i comparti della installazione di impianti, dell’edilizia, dei serramenti.
«Siamo in presenza di una sorta di Spada di Damocle – osserva il presidente regionale Aurelio Malvone illustrando i risultati dell’indagine – che potrebbe ridurre la portata espansiva delle agevolazioni per un settore in crisi dal 2008, e che l’emergenza sanitaria ha finito solo per accentuare: un problema serissimo, visto che ben il il 57% delle imprese assicura che l’introduzione delle agevolazioni sta avendo un impatto positivo sulla propria attività, con picchi del 65,9% nei serramenti, il 56,3% dell’installazione e il 55,4% dell’edilizia. Motivo per cui abbiamo chiesto al Governo di vigilare su questa situazione». «Un effetto moltiplicatore – aggiunge il coordinatore regionale Silvio Calice – che si estende sulla organizzazione stessa delle imprese, che hanno visto crescere sia competenze che “catalogo”: il 33,7% ha infatti ampliato il ventaglio dell’offerta di lavori e servizi, adeguandola agli interventi sostenuti; il 27,8% ha assunto nuovo personale; il 23,3% sta sperimentando nuovi fornitori».
Un effetto benefico a 360 gradi, come si vede, sul quale tuttavia rischia ora di abbattersi una fiammata dei prezzi che il Centro studi nazionale della Cna definisce senza mezzi termini “da paura”. Una esagerazione? Non si direbbe proprio, stando alle cifre messe nero su bianco dall’indagine: in un anno gli aumenti più importanti hanno riguardato i metalli (+20,8%), con punte che superano il +50%; i materiali termoisolanti (+16%) con punte che oscillano tra il +25% e il +50%; i materiali per gli impianti (+14,6%), con punte che superano il +25%, e il legno (+14,3%). Elevata anche la crescita per altri materiali, che oscilla tra il +9,4% di malte e collanti e il +11,3% dei laterizi, mentre meno marcati (poco sotto il +10%) sono stati gli incrementi sofferti dall’impiantistica e dai serramenti, dove ha inciso maggiormente il rialzo dei prezzi di semilavorati in alluminio o altri metalli.
Con il risultato, sintetizza dunque Malvone, «che siamo in presenza di una drastica riduzione dei margini di guadagno delle imprese, impotenti di fronte alla speculazione, ma pure messe nell’impossibilità di adeguare i contratti già sottoscritti, visto l’obbligo di legge che impone di dover giustificare i costi attraverso prezzari ufficiali; prezzari che però ancora non sono aggiornati rispetto agli aumenti che le imprese stanno subendo». Ne deriva dunque, oltre a un danno per le imprese di minori dimensioni – molte delle quali potrebbero rinunciare agli interventi a causa della caduta dei profitti – un rischio per il “sistema Italia, con ripercussioni sull’intero sistema Italia, in termini di mancata crescita dell’occupazione, dei consumi, del prodotto interno lordo e delle entrate fiscali”.